Dal parlamentare all'uomo intervistato sui marciapiedi di tutte le città, stando ai servizi televisivi in onda da almeno un anno a questa parte, il desiderio più ardente nel cuore di ogni italiano è quello di riprendersi il diritto per troppo tempo negato di scrivere sulla scheda il nome del suo beniamino e di depositarla nell'urna.

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Per le elezioni del Parlamento di Strasburgo e Bruxelles, questo anelito ha potuto trovare soddisfazione poiché il sistema proporzionale in vigore prevede anche l'istituto della preferenza. Di più, gli elettori avevano diritto di esprimere ben tre preferenze. Ebbene, la maggioranza dei 27,4 milioni di italiani che hanno espresso un voto valido, non ha indicato alcuna preferenza. Dalle somme fatte da Termometro Politico, infatti, risulta che sono state espresse 12,6 milioni di preferenze.

In realtà il numero degli elettori che hanno esercitato appieno il diritto ad esprimere preferenze è più basso, forse anche significativamente, dato che alcuni di loro hanno espresso più di una preferenza. Termometro Politico ha individuato un tasso di preferenza del 15,4%, nell'ipotesi che tutti coloro i quali hanno esercitato il diritto di esprimere la preferenza abbiano scritto tre nomi sulla scheda. La forbice tra il 15,4% (nell'ipotesi tutti abbiano espresso tre preferenze) e il 44,4% (nell'ipotesi tutti abbiano espresso una sola preferenza), può essere ristretta tra il 23 (nell'ipotesi che in media l'elettore abbia espresso 2 preferenze) e il 30% (dato medio tra il 15,4 e il 44,4%).

Nei fatti solo una minoranza degli elettori ha scelto di esprimere un voto di preferenza. Gli altri, la maggioranza, non si sono curati di nomi e cognomi. Dopotutto, quello a cui dovrebbero rassegnarsi i ferventi fautori della reintroduzione delle preferenze è che l'attuale sistema politico è un Party-System, in cui l'elettore non istaura un rapporto fiduciario con un rappresentante (come avviene invece con l'uninominale), che peraltro non avrebbe alcuna possibilità uti singulus di portare avanti un programma; piuttosto, l'elettore vota il partito e la leadership che rappresenta meglio le sue idee e ritiene capace di portare avanti la linea politica che vorrebbe attuata nei vari livelli di rappresentanza istituzionale. Ed infatti i sostenitori del PD che hanno partecipato alle primarie del proprio leader (quasi tre milioni), sono più degli elettori dello stesso partito che hanno scritto i nomi dei propri rappresentanti al Parlamento europeo (2,6 milioni, nell'ipotesi siano state espresse mediamente due preferenze).

Se poi andiamo a vedere quali preferenze sono state espresse, si rafforza ancor più l'idea che il voto espresso resti comunque un voto di fiducia al partito: 22 capilista su 25 sono stati eletti. In generale, nei partiti che hanno ottenuto più del 4%, i capilista sono stati i più votati nel 73% dei casi e hanno dragato il 22,4% delle preferenze espresse.

Ancor più sorprendente il fatto che nel Movimento 5 Stelle, che ha stilato le liste in ordine alfabetico: il capolista è stato eletto in quattro cisrcoscrizioni su cinque e in tre di esse ha ottenuto il numero più alto di preferenze. Nella quarta circoscrizione, il Nord Est, il capolista è arrivato secondo. E così hanno il cognome che inizia con una delle prime tre lettere dell'alfabeto 8 parlamentari su 17 eletti dal Movimento 5 Stelle (il 47% contro il 19,6% degli altri partiti).

In realtà questo approccio psicologico al voto di preferenza non è solo indicativo di un atteggiamento acritico, ma reca in sé un anticorpo sano per la democrazia contro forme di politica clientelari. Posto che il numero di preferenze che vengono espresse è basso in rapporto al numero di voti, l'istituto della preferenza rischia di attribuire a gruppi di pressione e clientele una rappresentanza maggiore di quella reale. Con un numero relativamente basso di preferenze, minoranze ben organizzate possono aggiudicarsi un alto numero di eletti. Da questo punto di vista la scelta dei capilista, che in genere sono più rappresentativi del partito che li candida e delle idee che questo sostiene, è un utile contrappeso, per quanto non sia sempre sufficiente, come dimostra la storia della Prima Repubblica.

Per evitare del tutto l'emergere di forme di voto clientelari e l'ascesa di candidati legati a interessi particolaristici più che alle idee e ai programmi su cui si sostiene il consenso di una forza politica, sarebbe necessario che l'espressione delle preferenze fosse obbligatoria, anziché facoltativa. Questo però costituirebbe per gli elettori un onere del quale, come traspare dal numero di preferenze espresse alle ultime europee, gli italiani farebbero volentieri a meno.