debito pubblico grande

Veronica De Romanis (Luiss Guido Carli e Stanford University di Firenze) porta avanti da anni una crociata gentile contro il semplicismo economico-finanziario e l’opacità delle politiche di bilancio; impresa ardua, specie quando si svolge nei talk show, perché bisogna opporre grafici, dati, letteratura scientifica e altre cose un po' ostiche ed emotivamente gelide a slogan strappa-applausi pescati dalla solita brochure della demagogia più spicciola, dell'antieuropeismo e del nostalgismo primo-repubblicano.

Il suo ultimo libro, Il pasto gratis. Dieci anni di spesa pubblica senza costi (apparenti), edito da Mondadori, è un altro essenziale e imperdibile capitolo di questa serenissima crociata.

Si tratta di un impietoso smascheramento dell'illusionismo economico praticato dagli esecutivi degli ultimi dieci anni, sempre sul postulato bugiardo che i pasti gratuiti esistano e che spesso, oltreché gratuiti, siano perfino più che compensativi – l'autrice battezza «illusione dell'autofinanziamento» la sistematica contraffazione della nozione di moltiplicatore della spesa pubblica con la quale capipopolo ed economisti faciloni si dilettano a esercitarsi nei salotti televisivi e, quel che è più grave, nei bilanci di previsione: se spendo uno a debito, anche scriteriatamente e in un qualunque quadro macroeconomico, mi ritornerà almeno uno e mezzo, così la misura si sarà ripagata e per di più avrò guadagnato mezzo. (Più che della Teoria generale dell’occupazione sembrerebbe trattarsi del Vangelo, suggerisce l’autrice).

I giochi di prestigio sono anzitutto linguistici. Basti pensare alla «flessibilità», che naturalmente significa extra-deficit, anche se non contabilizzato ai fini del rispetto degli odiatissimi parametri comunitari – pensata per investimenti ad alto impatto sul tasso di sviluppo, Matteo Renzi si avvalse della flessibilità per finanziare misure a pioggia.

Si ricordino poi le «clausole di salvaguardia», cioè ancora una volta deficit ma confezionato con un rassicurante "pagherò", spendo oggi e domani trovo le coperture, solennizzo quest'impegno garantendoti che se le risorse non le trovassi l'IVA e alcune accise aumenterebbero automaticamente; e invece poi le risorse non vengono trovate e le clausole vengono eroicamente… «disinnescate» (come fossero pericolosi ordigni sganciati dall'Europa matrigna) o «sterilizzate» (un potenziale focolaio di agenti patogeni) tanto per cambiare con ulteriore disavanzo.

L'autrice, proseguendo di esecutivo in esecutivo, rovista nella valigetta dei prestigiatori del pasto gratuito trovandovi altri formidabili casi di risemantizzazione; si citi per tutti il «tesoretto», termine che sembrerebbe riferirsi a un forziere fortuitamente rinvenuto nelle segrete di Palazzo delle Finanze e invece – s'indovini un po' – si tratta ancora una volta di… disavanzo.

In un paragrafo suggestivamente titolato «quel balcone affacciato sul nulla» – quasi a suggerire la voragine nichilistica soggiacente all’utilizzo della spesa pubblica come mezzo per vezzeggiare gli elettori – viene poi rievocato un episodio paradigmatico, nelle sue parossistiche prosopopea e demenzialità, dell'estremismo del pasto gratuito: lo sfrontatissimo «abbiamo abolito la povertà» proclamato peronisticamente da Luigi Di Maio dal balcone di Palazzo Chigi qualche ora dopo l'approvazione della nota di aggiornamento al Def del 2018; Reddito di cittadinanza e Quota 100, finanziate con un disavanzo al 2,4% del Pil, vennero presentate come panacea di tutti i mali economici e sociali.

Lo spread salì a 300 punti base (gli investitori, evidentemente, non nutrirono molta fiducia negli effetti miracolistici del moltiplicatore della spesa pubblica), la Commissione annunciò l'avvio di una procedura d'infrazione e allora il disavanzo scese al… 2,04%: una disonorevole ma salvifica resa alla realtà occultata tramite un decimale del valore di dieci miliardi di euro – l’autrice sottolinea che in termini squisitamente contabili e per il solo 2019 il governo giallo-verde, nato da un contratto fra feroci criminalizzatori dell'austerità, è stato il più austero degli ultimi quindici anni.

Si prosegue con l'esecutivo più sfacciatamente "sfascia-bilancio" di sempre, il Conte II; è un passato recentissimo che, come Meloni sta avendo modo di sperimentare, si riverbera con prepotenza nel presente: misure straordinariamente costose e regressive – cashback e Bonus 110% su tutte – sono state presentate (o per meglio dire "piazzate"…) come essenziali per la ripresa post-pandemica, mentre il debito-monstre contratto con l'Ue nell'ambito del Next Generation EU è stato celebrato come una gloriosa vittoria di Giuseppe Conte in sede sovranazionale; e va da sé che, per citare quella che in bocca all'avvocato del popolo divenne una vera e propria formula-intercalare, tutto questo lo si è fatto… gratuitamente.

Il ministro dell'Economia e delle Finanze del governo Draghi, Daniele Franco, definirà il Bonus 110% (giusto per stare a uno dei tanti pasti gratuiti serviti da Conte) «una truffa tra le più grandi che la Repubblica abbia mai visto»; il superbonus cosiddetto è a oggi costato diverse decine di miliardi: il pasto è stato tutt'altro che gratuito. Lo stesso Conte, come riporta l'autrice, seppur ridimensionando significativamente le cifre ammette che il Bonus, non essendosi integralmente autofinanziato, abbia di fatto avuto un costo, costo che tuttavia – parole di Conte – non grava sulle famiglie italiane ma sullo Stato: valga, questa sconcertante manifestazione d’impertinenza, come epitome minima della mentalità di ogni dilapidatore di denaro pubblico.

Scrivendo della parentesi draghiana, poi, De Romanis illustra il collasso della nozione di "debito buono", teorizzata dall'ex banchiere in tempi e termini non sospetti, e interroga il lettore circa i risultati tutto sommato magri, sul piano della composizione della spesa, di quell'esecutivo, specie se rapportati al prestigio e all’autorevolezza del nome di chi lo ha presieduto: «il Parlamento è sovrano – chiede l'autrice – oppure il governo è stato troppo timido?».

Il libro si chiude con «la spesa difficile» del governo Meloni: forte del mandato guadagnato alle urne e penalizzata da una situazione tormentata su molti versanti e perciò poco compatibile, come sa bene Liz Truss, con l'elargizione spregiudicata di pasti gratuiti, la Presidente del Consiglio in carica un po' prova a rimettere i conti in ordine (accise, Bonus 110%, Reddito di cittadinanza) un po' compiace, foss'anche perlopiù simbolicamente, la propria "identità profonda" movimentista (tassa sugli "extra-profitti").

Il pasto gratis va letto anzitutto per immunizzarsi da una retorica e da un modus agendi trasversalmente malati di shortermismo, irrazionalisticamente fossilizzati nell'ostentazione di feticci (le forbici esibite da Luigi Di Maio dopo l'approvazione in seconda lettura del cosiddetto "taglio dei parlamentari") e nella demonizzazione di antifeticci (accedere alla linea pandemica del Mes ci avrebbe fatto risparmiare circa tre miliardi di euro in dieci anni… ma solo a parlarne Conte s'inalberava, esclamando thatcherianamente che il debito va restituito tagliando le spese o aumentando le tasse).

Il pasto gratis va letto perché si possa pretendere con consapevolezza che leader politici, accademici, giornalisti etc. argomentino a favore o contro determinate politiche pubbliche avvalendosi dell'evidenza empirica anziché dell'aneddotica selettiva.

Il pasto gratis va letto per familiarizzare con nozioni assai poco in voga ma essenziali per la salute delle finanze pubbliche – e di conseguenza per la tenuta stessa di una democrazia liberale – quali quelle di vincolo di bilancio, costo-opportunità, equità intergenerazionale, accountability e soprattutto regressività: la spesa pubblica irresponsabile è una redistribuzione antiroobhinoodiana da chi ha poco a chi, detenendo titoli di debito pubblico e percependone gli interessi, tendenzialmente ha di più.

Il pasto gratis va letto, infine, perché l'autrice è assai ponderata nell’assegnazione delle responsabilità della deriva spendaccionista cui in Italia assistiamo ciclicamente: non risparmia né noi elettori (così economicamente accorti nella dimensione privata, così affamati di brioches in quella pubblica) né soprattutto giornalisti e conduttori televisivi; muniti di dati ufficiali e onestà intellettuale, serve «incalzare l'interlocutore ponendo la cosiddetta "seconda domanda"» – cosa che peraltro in tv De Romanis fa puntualmente, senza mai personalizzare o alzare la voce perché la sua, come si diceva, è una crociata gentile.