In difesa di Elly. La sua radicalità è un viatico per l’unità di tutti i riformismi
Istituzioni ed economia
La dialettica destra sinistra è più viva che mai. Le posizioni terze hanno senso solo se arricchiscono la contrapposizione epocale, solo se rendono complessa e feconda la differenziazione ideale e programmatica, stimolando la scelta di campo, superando ogni sterile opportunismo per approdare, finalmente, a un sano bipolarismo.
Il "centrismo", oggi, è quello minoritario di Renzi e Calenda: un cerchiobottismo furbo che cerca di capitalizzare le manovre di Palazzo, non ha nulla di davvero moderato, anzi. Calenda in Calabria, ad esempio, è con il centrodestra mentre - a livello nazionale - cerca di occupare spazi riformatori, tradendo in nuce - con questo suo "et et" tattico – un approccio autenticamente progressivo.
Gli elettori, al voto, lo hanno dimostrato con forza (penso alle recenti regionali ma evidentemente anche alle primarie democratiche): ciò che intercetta l'apprezzamento maggioritario è la chiarezza programmatica, è la capacità/possibilità di incidere, amministrare e governare, e non, invece, la strategia dell'impedire agli altri di amministrare e di governare, tentando di farsi "ago della bilancia" e, con ciò, favorendo gli avversari comuni.
E tanti sinceri liberali e nonviolenti - i più informati anche sulla scorta della storica lezione riformista e antiautoritaria di Aldo Capitini e di Aldo Moro - hanno compreso - scegliendo Elly Schlein ad esempio - che il nuovo progressismo passa per l'unità inscindibile di diritti civili e sociali, il massimo di liberalismo e il massimo di socialismo democratico in uno! Questo significa "radicalità" dell'impegno contro ogni radicalismo estremista e contro la "palude" dei sedicenti moderati a caccia di collocazione utile.
In tal senso il Partito Democratico, che ha resistito alla guerra intestina degli antagonisti populisti e neo centristi, rimane la casa plurale di tutti i riformismi. Il riformismo, infatti, non vuol dire annacquare lo sforzo per mutare ciò che non va e ha senso, infatti, solo nel contesto progressista e schiettamente "sociale" di chi lotta per cambiare lo status quo nel senso della libertà e della giustizia. Non ha nulla di conservatore e tiepido e vive di temi concreti.
E proprio per questo Elly Schlein - in ciò autenticamente riformista - è lontana da ogni sterile retorica: dipana un'agenda politica - a me pare - nettamente laburista, fondata sulla lotta contro le ingiustizie del lavoro povero e insicuro, per l'affermazione di un'impresa meritocratica e responsabile secondo i dettami della Costituzione.
I cattolici democratici - da Prodi a Letta - lo hanno capito bene, i socialisti europei pure, gli eredi del composito mondo del centrosinistra italiano e delle diverse nobili tradizioni popolari, socialdemocratica, repubblicana, antifascista, berlingueriana e orgogliosamente di sinistra, anche.
L'ecologismo e l'attenzione ai diritti dei deboli e degli emarginati - i soli temi pubblici che appassionano, giustamente, le nuove generazioni - risiedono pienamente in questa impostazione che ha conquistato anche tanti minorenni registrati, i quali hanno vivificato i gazebo delle primarie.
A fronte di tutto questo, contro tutto questo "nuovo" e "futuro" che si afferma, dovremmo appassionarci per i giochetti tattici di Boschi et similia? Dovremmo parteggiare per il confusionario Calenda ancora e da sempre incerto sulle sue posizioni? Il "centrismo", in fondo, è proprio questo: incertezza valoriale e spregiudicatezza politica, carrierismo e personalismo.
Lo aveva capito bene Moro che, contro le periodiche derive in tal senso della DC, si spendeva per l'allargamento costante della base democratica governativa, per la politica di coalizione, per la traduzione "aperta" dell'identità corale di chi coniuga intraprendenza e equità.
È lo stesso Moro - non un pericoloso bolscevico - che, proprio come oggi fa la Schlein, si preoccupava di affermare continuamente l'ideologia "necessaria" della Repubblica: quell'antifascismo plurale e democratico indispensabile, generazione dopo generazione, per contrapporsi vigili al "vuoto politico" del qualunquismo destrorso - vero avversario di tutti i riformisti - che nasconde i poveri, tace sui deboli, nega le differenze, respinge i diversi, chiude il mare sui disperati, erge il filo spinato dell'indifferenza per tutelare non "the people", non la ricchezza dell'aggiunta plurale e della "compresenza" di tutti, nessuno escluso, nella produzione collettiva dei valori, ma i soliti privilegi corporativi e le rendite improduttive degli arrivati, dei soddisfatti, degli alfieri di flat tax, secessione, egoismo sociale, disarticolazione comunitaria e umanitaria.
Sarebbero questi, dunque, i liberali? No, non è così! Le destre italiane sono ontologicamente illiberali, nemiche della società aperta e, in tal senso, non sorprende la campagna stampa orchestrata contro l'esperienza al Parlamento europeo dell' "ebrea" Elly Schlein, colpevole di essere stata citata in qualche pubblicazione di "Open Society", una rete di fondazioni creatura del cattivo e "demoplutocratico" per eccellenza: quel George Soros – in realtà antagonista storico di Orban e di tutti gli autocrati dediti alla costruzione dispotica della Società Perfetta – che viene individuato dalla destra revanscista europea come il "nemico" al lavoro per giungere alla "sostituzione etnica" dei bianchi europei con i meticci di mezzo mondo.
Questo, ne dobbiamo essere consapevoli, è il livello culturale della nuova "rivoluzione conservatrice" che ha in Putin (l'amico di Salvini e di Berlusconi; l'ex amico di Meloni) il suo campione più rappresentativo. Ecco, quindi, che anche a livello continentale la dicotomia destra sinistra si afferma lungo un crinale ben chiaro, che non sopporta tiepidezze furbe e tattiche: da una parte la società imperfetta e aperta che rigetta per gli individui un destino - sociale ed economico - predeterminato da nascita e appartenenza e, dall'altra parte, la società chiusa, sedicente tradizionale, "machista", corporativa, nemica dell'attivazione di quell'ascensore sociale che solo la progressività dell'imposta e la legislazione sociale a tutela dei più deboli e meritevoli può attivare per il bene di tutti.
Anche per questo è privo di senso il timore sulla collocazione internazionale del nuovo Partito Democratico: il profilo occidentale della Schlein è chiaro, la vicinanza all'aggredita Ucraina pure. La nuova Segretaria PD è vicina al mondo democratico americano: ha supportato da volontaria impegnata sul territorio la campagna elettorale di Barach Obama, di certo non un pericoloso sovranista ammiratore di Putin (quelli, come è noto, stanno tutti a destra, con in testa Donald Trump).
Al di là di ogni improprio timore, quindi, ciò che è opportuno si realizzi é una diversa articolazione dell'appoggio alla resistenza ucraina: nel contesto della netta distinzione tra aggressore e aggredito, infatti, l'Europa e l'Italia in particolare (l'Italia che ripudia la guerra ex art. 11 della nostra Carta Fondamentale) non possono derogare al compito di stimolo per la risoluzione diplomatica e pattizia dei conflitti tra Stati. Solo un'Ucraina forte dell'appoggio occidentale potrà sedersi al tavolo del confronto decisivo con Putin e solo un lavoro serio di ricerca di soluzioni possibili condivise - che affianchi il sostegno militare alla resistenza di Kiev - potrà legittimare lo sforzo italiano teso alla fine di questa guerra assurda.
In tale contesto, il ruolo del Partito Democratico guidato da Elly Schlein è essenziale, perché non possiamo consentire che il conflitto si allarghi coinvolgendo la Nato e perché dobbiamo essere pronti a preparare il terreno fertile per serie trattative di pace.
Anche in questo le destre italiane sono impreparate, perché non ha alcun senso oscillare schizofrenicamente tra l'atlantismo recente e retorico della Meloni e il putinismo più o meno mascherato di Berlusconi e di Salvini mentre ha senso, di contro, diventare credibili come intransigenti operatori di una nonviolenza attiva che non neghi la responsabilità di quanto è finora accaduto e che sappia proporre una via d'uscita, una via di fuga dal terrore e dall'orrore anche per la Russia, la cui opinione pubblica, progressivamente, sta prendendo coscienza - purtroppo troppo spesso concussa dalla violenza soprattutto "interna" del Potere - della catastrofe frutto di una aggressione irragionevole e dannosa per tutti.
Questa è la complessa posta in gioco, queste le questioni politiche che attendono il lavoro e l'impegno del nuovo Partito Democratico.
Di certo, tra tante difficoltà e incertezze, una verità emerge dall'afflusso popolare al voto per le Primarie Dem: la Sinistra non è morta, il campo populista e demagogico sta mostrando le proprie fragilità sostitutorie, il sovranismo illiberale è l'avversario epocale di tutti i democratici, le "scissioni" si stanno ricomponendo nell'acclarato fallimento di ogni operazione politica che non fa i conti con la coerenza del popolo democratico.
È questo che ci ha consegnato anche la pronta reazione alla sconfitta di Stefano Bonaccini che spinge per un lavoro comune e per il pieno riconoscimento della nuova leadership: "Sono convinto che chi esce sbaglia, anzi dobbiamo chiamarne di nuovi. Dobbiamo far si che il Pd si rigeneri, che abbia una nuova classe dirigente e che metta in campo una proposta per costruire il centrosinistra", ed ancora: "la vera rivincita è nei confronti della destra. L'obiettivo è di costruire le condizioni per tornare a essere il primo partito alle prossime elezioni europee e vincere nei comuni". Un ottimo viatico per l'unità, quindi.