L’Italia che frana. Conversazione con Erasmo D’Angelis
Istituzioni ed economia
In Italia si riparte da zero ogni volta. Ed in Italia sono oltre 8 milioni le persone che abitano in aree ad alta pericolosità e quasi il 94% dei Comuni è a rischio dissesto e soggetto a erosione costiera. I dati del Rapporto “Dissesto idrogeologico in Italia. Pericolosità ed indicatori di rischio” a cura dell’Ispra, sono chiari e drammatici. Al dato della popolazione fa riscontro anche quello degli edifici. I dati raccolti dal Rapporto dividono in tre livelli di pericolosità – molto elevata, elevata e media – il totale dei 14 milioni di strutture presenti sul territorio. Le Regioni più colpite sono Emilia-Romagna, Toscana, Campania, Veneto, Lombardia e Liguria.
Davanti a tale scenario, la recente tragedia di Ischia si somma ad un amaro elenco ma non costituisce una novità o una sorpresa, purtroppo. Ne ragioniamo con Erasmo D'Angelis, già presidente di Earth and Water Agenda e di Italia Sicura. Quest’ultima un’apposita unità di missione presso la presidenza del Consiglio con il compito di curare coordinamento, pianificazione e gestione del rischio idrogeologico in Italia. E nel 2018 smantellata dal primo governo Conte col ministro Costa.
Le scelte politiche hanno sempre conseguenze. E possono essere positive o negative. Qual è il suo bilancio alla guida di Italia Sicura?
Se dovessi fare un bilancio dei 4 anni da coordinatore di Italiasicura e degli ultimi 5 da Segretario Generale dell’Autorità di bacino dell’Italia Centrale potrei dire che o l’Italia cambia radicalmente approccio ai rischi naturali e meteoclimatici, dal dissesto idrogeologico ai rischi sismico e vulcanico, inseguendo sempre ogni emergenza e rimuovendo sempre le cause, oppure continueremo a pagare il conto più salato dell’intera Europa in vittime, danni, disastri immani e perdita di credibilità internazionale. Siamo infatti tra i primi al mondo per vittime e danni e, dal 1945 l'Italia paga in media per risarcimenti e ripristini oltre 8 miliardi di euro all'anno per tutta la gamma di rischi dai quali siamo largamente indifesi.
È questa verità, questa priorità che ci ha portato, con il Governo Renzi e poi Gentiloni a creare la prima Struttura di Missione Italiasicura per il contrasto a frane e alluvioni, all’edilizia scolastica fatiscente e allo sviluppo delle infrastrutture idriche.
La seconda priorità è sapere che ogni euro investito in prevenzione ne fa risparmiare 100 da spendere solo per riparare i danni dopo le catastrofi. La terza è l’utilità strategica e operativa di una task force come Italiasicura che pochi giorni fa giustamente il Senato con voto a maggioranza ha chiesto di ripristinare a Palazzo Chigi. Il nostro compito era di predisporre e pianificare l’opera pubblica nazionale più importante e urgente di cui l’Italia ha bisogno, coordinando e facendo regia di tutti i settori e le articolazioni dello Stato e della Pubblica Amministrazione, di enti scientifici, aziende pubbliche e soggetti privati per una decisa azione di stimolo, supporto, monitoraggio, controllo e apertura o riapertura dei cantieri per la riduzione del dissesto idrogeologico. Iniziammo a voltare pagina cambiando la governance e con nuovi strumenti operativi e finanziari.
Come si è scelto di procedere, quali sono stati i cambiamenti che sono stati introdotti per il progetto di Italia Sicura
Con il decreto “Sblocca Italia” furono nominati tutti i Presidenti di Regione Commissari di Governo per il contrasto al dissesto idrogeologico, e lo sono ancora. La riorganizzazione e la sburocratizzazione iniziarono con norme che permettevano e permettono ai Presidenti-Commissari con "dichiarazione di pubblica utilità" di sostituire "visti, pareri, autorizzazioni, nulla osta e ogni altro provvedimento abilitativo necessario" alle opere e agli interventi costituendo, dove è necessario e dove non si provocano impatti ambientali, "variante agli strumenti di pianificazione urbanistica e territoriale". Bisogna infatti arginare anche il dominio della burocrazia che ha impedito centinaia di interventi indispensabili.
Non è più accettabile vedere tanti territori che crollano, franano e si allagano, in alcuni casi troppo facilmente, e pur in presenza di risorse aspettare mesi o anni per firme, timbri e pareri, sentenze. Un nuovo modello di intervento definì con chiarezza compiti e funzioni, recuperando i ritardi e l’intera capacità di spesa per mettere il più possibile in sicurezza la nostra penisola-catalogo di grandi rischi, aumentati per gli effetti del cambiamento climatico drammaticamente evidenti in un Paese con molte aree dissestate anche da una occupazione di suolo senza paragoni e con abusivismo edilizio che ha degradato reticoli idrografici, occupato aree fragili e fluviali restringendo alvei di fiumi e torrenti, in barba alle leggi dell'idraulica, della natura e dello Stato. Aree a rischio sono presenti nel 94% dei Comuni italiani, dove vivono milioni di cittadini. La struttura che coordinavo con Mauro Grassi era composta da personale tecnico provenienti da Protezione Civile, Ministeri, società pubbliche come Invitalia e Sogesid. Abbiamo lavorato al primo Piano nazionale di opere e interventi con le Regioni, le Autorità di bacino e i Comuni e ancora oggi è l’unica pianificazione con circa 11.000 opere e interventi per un investimento previsto in 15 anni di cantieri per circa 30 miliardi di euro.
Grazie ad un ritaglio di risorse per 8.4 miliardi di euro (poi confluiti nel PNRR), ad un Fondo Rotativo per le Progettazioni e alla legge che permette alle opere di essere no-stop dopo una gara, senza attendere i risultati di eventuali ricorsi, siamo riusciti ad aprire o a far riaprire circa 1400 cantieri per circa 1,5 miliardi di euro di investimenti e in totale trasparenza. Uno dei risultati è stata propria la trasparenza, un portale georeferenziato con una piattaforma telematica nazionale con testimonial Mario Tozzi, aperta a tutti i cittadini, dando loro la possibilità di seguire stato dei progetti e dei cantieri e di verificare lo stato di avanzamento dei lavori, dall’assegnazione di fondi al collaudo, con tutte le informazioni, la conoscenza del rischio, bandi di gara, commissioni di gara, tempistica della spesa pubblica. Tutto verificabile e controllabile in tempo reale. Tutto scomparso con l’assurda scelta della chiusura della Struttura di missione del Governo Conte 1 sostituita con il nulla.
L’Italia è teatro di quasi quotidiani di eventi meteoclimatici che continuiamo a definire “estremi” illudendoci che siano rari, ma ormai hanno assunto un carattere “ordinario”. Questa consapevolezza pare crescere?
Noi siamo il Paese più bello e più rischioso del mondo. Conviviamo da sempre con vulcani attivi, terremoti, subsidenze, erosioni costiere e mareggiate, frane e alluvioni. Siamo gli inventori della scienza dell’idrologia, dell’antisismica e di tecnologie che aumentano la nostra sicurezza da questi grandi pericolosi naturali. Ma rimuoviamo il tema.
Ispra ha censito il 93,9% dei comuni italiani, ben 7.423, con aree a rischio frane, alluvioni o erosione costiera. Sono 1,3 milioni gli abitanti a rischio frane e 6,8 milioni quelli a rischio alluvioni. Il 18,4% (55.609 km2) del territorio nazionale è classificato a pericolosità frane elevata, molto elevata e a pericolosità idraulica. E le frane sono fenomeni estremamente diffusi per le caratteristiche geologiche e morfologiche e orografiche del territorio che per il 75% è montano-collinare. E l’Italia frana e si allaga troppo facilmente anche per la più ricca idrologia europea con una media annua di 305 miliardi di m3 di piogge e per 7.494 corsi d’acqua con la loro natura torrentizia.
Abbiamo la media record di uno smottamento ogni 45 minuti e la cifra record di 628.808 frane da Nord a Sud sul totale delle circa 750.000 dell’intero continente europeo, e i centri funzionali della Protezione Civile controllano in real time le 2.400 più pericolose. In un secolo, 4.439 località di 2.458 Comuni in tutte le nostre Regioni sono state colpite da oltre 17.000 gravi frane che hanno lasciato 5.455 morti, 98 dispersi, 3912 feriti gravi e oltre un milione di senzatetto.
È evidentissima e drammatica l’accelerazione con l’aumento di frequenza di flash flood, temporali auto-rigeneranti, uragani e cicloni extratropicali, mareggiate come piccoli tsunami, piogge a carattere esplosivo in aree anche urbane e sempre più ristrette negli spazi e nel tempo con vittime e devastazioni. E senza difese e protezioni.
L’ennesima sciagura a Casamicciola ci ricorda che non va perso tempo, e che gli impegni annunciati da ogni parte politica non devono evaporare, ma produrre davvero una svolta di prevenzione permanente. Come agire perché ciò possa accadere?
Possiamo e dobbiamo agire su più fronti, è un dovere morale e un obbligo. Bisogna intanto fermare o almeno frenare lo spaventoso ritmo con cui divoriamo il suolo, a una media folle ancora oggi di 19 ettari al giorno, 2 metri quadrati al secondo.
Nel solo 2021 abbiamo sfiorato i 70 kmq di nuove coperture artificiali, un record, e nelle regioni più a rischio come la Sicilia. In Europa da decenni si va nella direzione opposta. Da noi il Parlamento non riesce ad approvare una legge che fermi il folle consumo di suoli alluvionali e franosi e già occupati da tanta edilizia anche abusiva. Questo è un vizio tutto italiano che non ha paragoni e ha permesso a chiunque abusi e occupazione di suoli fragili graziati da 3 condoni edilizi. In soli 7 decenni siamo passati dal 2.3% del costruito nazionale all’8,3% e spesso senza piani regolatori comunali edificando ovunque, su fiumi e frane, spiagge e aree protette, innescando così pericoli a non finire. Sono come le bombe a tempo, trappole innescate pronte a provocare una infinità di tragedie come a Ischia.
Spesso si parla di anarchia urbanistica italiana, tollerata e sdoganata a difesa di supposti “diritti acquisiti” dagli abusivi. Il trend in questi ultimi anni che segno ha? E con quali costi per lo Stato, in particolare al Sud?
Il condono edilizio, lo sanno anche i sassi, è tecnicamente un provvedimento di sanatoria amministrativa eccezionale e limitato nel tempo, che consentiva ai proprietari di costruzioni abusive o di edifici o manufatti edilizi modificati e non conformi alla legge e agli strumenti urbanistici comunali, abusi non impediti né demoliti, di sottrarsi alle misure penali e amministrative vigenti, pagando somme irrisorie per oblazione, oneri concessori, diritti e indennità risarcitorie. L’Italia ha fatto scuola nel mondo in materia di illegalità e abusivismo, è la patria delle due paroline magiche - “condono edilizio” e “sanatoria edilizia” – poiché questo pessimo Made in Italy nelle sue dimensioni risulta sconosciuto nel resto d’Europa.
Vari governi dal primo condono del 1985 hanno privilegiato la monetizzazione dell’abuso commesso, e tantissimi politici locali hanno chiuso due occhi in nome del consenso elettorale, hanno lisciato il pelo agli abusivi lasciando l’accatastamento di costruzioni spuntate dal nulla e persino interi quartieri in aree ad alto rischio alluvionale e franoso, sismico e vulcanico, occupando ovviamente quasi sempre terreni demaniali. La più intensa e febbrile e incontrastata cementificazione si sta rivelando un boomerang, produce morti, tragedie vere. È l’ora di darsi una regolata, di fare prevenzione
Il Pnrr destina oltre 8 miliardi di euro al contrasto al dissesto idrogeologico: può essere parte della soluzione. Cos’altro? E quanto è alta la sfida culturale e di connivenza tra eletti ed elettori?
Il PNRR è la nostra scommessa anche per aumentare la sicurezza dai grandi rischi e la consapevolezza. Il messaggio che va dato deve essere positivo: non dobbiamo rassegnarci a subirli i rischi, ma dobbiamo impegnarci a saperli affrontare concretamente, superando uno per uno tutti i nostri punti deboli. Si può fare? Certo che sì. Prevenire è sempre meglio che far crollare o allagare. E se tanto tempo fa questo sembrava impossibile, oggi le conoscenze e le tecniche, le tecnologie e la ricerca permettono ciò che sembrava impensabile.
Noi italiani siamo bravissimi all’estero, costruiamo opere fondamentali fuori dall’Italia contro ogni rischio, dai terremoti alla siccità, ma non lo facciamo in patria. Un assurdo! Non vanno lasciati soli i nostri tantissimi tecnici e operatori di Comuni, Regioni, Protezione Civile, delle aziende pubbliche che giorno e notte fanno il massimo, ma questa sfida deve impegnare tutto lo Stato. Siamo impreparati sul piano culturale, non sappiamo come agire durante una fase di rischio come le alluvioni, abbiamo bisogno di fare esercitazioni di protezione civile, di aumentare la conoscenza e la coscienza dei rischi. Ecco le cose da fare.