Il PD monosessuale e le quote (poco) rosa del Governo Draghi
Istituzioni ed economia
Quando al Quirinale l’ex Presidente della BCE ha letto la lista dei ministri, ha anche indirettamente svelato il perimetro del suo potere all’interno del Governo – che è ampio, ma non assoluto – e smentito che la composizione dell’esecutivo sia avvenuta nell’esclusivo confronto tra il Presidente incaricato e il Capo dello Stato, senza trattative con i partiti che avrebbero composto la nuova maggioranza. La compagine ministeriale è infatti una mappa molto precisa dei rapporti di potere interni ai partiti della maggioranza ed è peraltro normale e tutt’altro che scandaloso che sia così.
Il problema è che questi rapporti di potere sono spesso di infima qualità, come il profilo dei relativi “potenti”. Non basta un Presidente del Consiglio di grande caratura a risolvere o a occultare questo inconveniente, che si vede benissimo e speriamo che non si “senta” troppo nella navigazione dell’esecutivo.
Un’altra ben più clamorosa smentita c'è stata rispetto al tema della parità o dell’equilibrio di genere all’interno dell’esecutivo, sia in termini quantitativi che di peso politico. Doveva essere, nelle promesse e nelle attese, un esecutivo super-paritario e non lo è per nulla.
Per stare alla quantità, le donne sono un terzo, mentre ci si aspettava che fossero intorno alla metà. Sono poco più di un terzo nella componente tecnica (tre su otto), esattamente un terzo in quella politica (cinque su quindici). Un solo partito ha "ministerializzato" solo uomini, ed è il PD. Tre su tre. Franceschini, Orlando e Guerini. Che diventano quattro su quattro se si considera Speranza, in rappresentanza di quella parte di Leu ormai “allegata” al PD. Il Movimento 5 Stelle ha tre ministri e una ministra. La Lega ha due ministri e una ministra. Italia Viva una ministra. Solo Forza Italia ha un rapporto di genere invertito, un terzo uomini: Brunetta; due terzi donne: Carfagna e Gelmini.
Dal punto di vista politico, solo le ministre “tecniche” controllano ministeri importanti in termini di potere o di spesa. Lamorgese agli Interni, Cartabia alla Giustizia e Messa all’Istruzione. Le ministre espressione dei partiti sono tutte senza portafoglio. Gelmini (Affari generali e autonomie), Carfagna (Sud e coesione territoriale), Dadone (Politiche giovanili), Bonetti (Pari opportunità e famiglia) e Stefani (Disabilità). Se in termini aritmetici il Governo Draghi è squilibrato in termini di genere, in termini di potere è un governo esclusivamente maschile.
Come sempre avviene, si può pensare che questa marcatissima prevalenza dipenda dall’assenza di vincoli giuridici che impongano quote minime di genere in tutti gli organismi politici, ovvero sia espressione di rapporti di potere reali legati a dinamiche culturali lato sensu “maschilistiche”, che dal mondo politico strabordano inevitabilmente nelle istituzioni e che le quote rosa finirebbero per camuffare, ma non per incrinare. Se i rapporti di potere all’interno del PD dicono che i “potenti” sono Orlando, Guerini e Franceschini, le quote legali avrebbero forse funzionato in modo puramente meccanico, sacrificando l’uomo meno potente dei tre e facendo promuovere a ministro la donna più potente del suo “giro”.
Proprio la monosessualità ministeriale del PD sembrerebbe una dimostrazione della scarsa incidenza dei vincoli statutari alla rappresentanza di genere nei partiti, ai fini della modifica dei rapporti reali e del raggiungimento di una effettiva parità di potere. Il PD è in teoria il partito più “rosa”. Il suo statuto prevede una ferrea parità di genere in tutti gli organismi rappresentativi e esecutivi (art. 1-ter dello Statuto), eppure è il partito che non solo nel Governo, ma anche al proprio interno ha in ruoli di vertice solo uomini. Il segretario, il vicesegretario e i capigruppo parlamentari.
Qualunque sia la valutazione sull’utilità o sulla necessità di quote rosa la cosa politicamente più significativa e disonorevole per il PD e in genere per la “sinistra della parità” è che un uso culturalmente conformistico del tema, oggetto di infiniti seminari e di ancora più infinite giaculatorie contro la destra maschilista, è invece solo una maschera per la permanenza di un potere maschile quanti altri mai, in Italia e forse non solo in Italia.