Il terrorismo è un fenomeno politico in cui emerge sempre una perfetta, anche se sinistra coerenza tra il mezzo e il fine. È, per questa ragione, uno dei pochi fenomeni politici che non soffra il peso della contraddizione. Il terrorismo non è mai un “eccesso” ed è estremistico solo in senso criminale, ma non ideologico. Il medium e il messaggio coincidono perfettamente. La strage non è mai più violenta o meno “precisa” della verità che vuole difendere o affermare. Lo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti, dei kulaki da parte degli stalinisti, dei “crociati” da parte degli islamisti sono parte di una terribile, ma logica corrispondenza tra il dire e il fare, tra la visione del mondo e l’azione nel mondo.

Tutte le ideologie politiche per cui si può diventare terroristi - cioè ci si può sentire autorizzati, anzi doverosamente tenuti a usare la violenza e la morte come arma contro il nemico - hanno dentro di sé sempre e comunque una potenza di violenza e di morte, che si può democraticamente esorcizzare e contenere, ma non estinguere, perché appartiene alla loro natura. Vale per il fascismo, vale per il comunismo, vale per il fondamentalismo religioso. Vale oggi per il nazionalismo.

E tocca oggi ai nazionalisti fare i conti con questa eccedenza di male, che il nazionalismo democratico vorrebbe ridurre a errore e accidente ideologico o a follia individuale, e da cui invece riemerge la sostanza del nazionalismo, esattamente come dai delitti delle Brigate rosse non emergeva l’estremismo leninisticamente infantile dei comunisti “sbagliati”, ma lo spirito maligno che ha accompagnato dall’inizio alla fine in Italia la storia del comunismo democratico, la sua retorica e le sue inappagate ansie palingenetiche.

Pochi comunisti ebbero il coraggio di Rossana Rossanda nell’ammettere la filiazione comunista, anzi piciista delle Br e la loro appartenenza all’album di famiglia del partito comunista pure più democratico e atipico dell’Occidente. Oggi non c’è un solo nazionalista che abbia l’onestà di ammettere che i “pazzi” che con sempre maggiore frequenza riempiono le strade di sangue si abbeverano ai racconti dell’invasione, della cospirazione per la “sostituzione etnica” e della necessaria autodifesa razziale, cioè al lessico e alla narrazione del “nazionalismo democratico”.

Se il patriottismo occidentale si restringe nel perimetro dell’identitarismo etnico-religioso e nell’orrore dell’imbastardimento multiculturalista – cioè in una forma paradossale di orrore di sé dell’identità politica occidentale – ovviamente cresceranno di numero e di intensità i casi in cui qualche invasato patriota sceglierà di passare alle vie di fatto, di dare sostanza eroica e esemplare a questa rivendicata esclusività politica. Hanau è solo una tappa di questa lotta “contro l’invasione”, che per sua natura non è destinata a fermarsi sul piano propagandistico, né a soddisfarsi del successo elettoralistico.

Ormai il nazionalismo suprematista è un pericolo criminale paragonabile a quello del fondamentalismo islamista. E non sembra neppure distanziarsene dal punto di vista, per così dire, operativo. Cani sciolti auto-radicalizzati sono gli islamisti e tali sono anche nella generalità dei casi i suprematisti.

Il terrorismo fai-da-te diffuso ovunque negli ultimi decenni non ha un particolare fondamento ideologico o strategico e deve la sua tragica fortuna e la sua massima diffusione alle caratteristiche delle società di massa contemporanea in cui l’organizzazione, anche quella terroristica, può essere fortemente disintermediata e atomizzata. Come hanno dimostrato le varie sigle islamiste che da un ventennio si contendono il primato del terrore mondiale, le reti possono essere insieme spontanee e scientificamente governate. Gli “operatori” sono casuali, ma l’esplosione della violenza è scrupolosamente programmata. Il terrorismo non ha neppure bisogno di essere una strategia, essendo una esternalità a suo modo necessaria dell'odio politico. Non è un progetto, ma un effetto della destabilizzazione del gioco della comunicazione e dell'agitazione politica.

Anche il terrorismo suprematista, come quello islamista, si appoggia ovviamente alle menti più fragili e condizionabili e quella dello stragista di Hanau era evidentemente una di queste. Quello terrorista non è un esercito, ma un pentolone di anime perse, di alienazioni personali e sociali che rispondono in modo prevedibile a stimoli ideologici e psicologici facili da confezionare e da trasmettere. Per questo non è infiltrabile, né controllabile dall’interno, perché un interno, in senso vero e proprio, neppure ce l’ha.

D’altra parte, confusi dalla necessità della repressione dell’attività terroristica, si rischia di pensare sbagliando che il terrorismo sia tale, di per sé, per il solo fatto di essere illegale. Esistono stati, o organizzazioni statuali, dedite all’attività terroristica, non contro, ma in nome della (propria) legge. Perché il terrorismo non è l’eversione, intesa in senso giuridico, ma è il potere contro la vita e la libertà umana, intesa in senso politico.

Hanau, che è diversa dalla Macerata investita dalla furia di Traini solo per la diversa mira dei killer e fortuna dei bersagli, dice che la guerra terrorista “all’invasione” è purtroppo appena iniziata.

@carmelopalma