Conte II non ha alcun precedente nella storia dell’Italia dell’ultimo secolo, se non paradossalmente il governo Badoglio II, che segnò il compromesso tra la Monarchia e il CLN, dopo che il Badoglio I era nato per “neutralizzare” l’Italia dalla guerra e consolidare un regime autoritario post-fascista in grado, nell’illusione del Re e delle élite militari e civili di quel che rimaneva della nazione, di far sopravvivere un simulacro di Stato sovrano in una terra divenuta un campo di battaglia tra truppe straniere.

Solo Badoglio, prima di Conte, ha recitato queste due parti in commedia, succedendo a se stesso in un Governo alternativo al precedente. Ma il Badoglio II di unità nazionale era un governo di resa, mentre il Conte II ambisce addirittura a essere la consacrazione definitiva del paradigma populista, del suo campione in doppio petto e della sua leadership trasformistica.

Il governo Conte-bis, se davvero vedrà la luce, figlio e immagine della deformità dell’Italia, dei suoi partiti e delle sue istituzioni, non è però un governo di alternativa, ma di mera alternanza nel sistema politico populista e Conte Giuseppe è semplicemente il metronomo che batte il tempo della “neo-storia” e la voce che intona il vuoto della “neo-lingua”. In Conte nulla è e tutto appare, nel mestiere antico di un potere agnostico, ideologicamente duttile e reversibile nel suo contrario, imparato nei labirinti dell’accademia e esercitato diligentemente in ogni contesto, dai back stage dei Vaffa Day alle stanze segrete del Vaticano.

Quelli che dovevano sfasciare tutto (i grillini), realizzando la mistica identificazione tra cittadini e Stato e tra volontà generale e potere, hanno alla fine intronato come leader necessario, buono per tutti gli usi e tutti i populismi, un modello addirittura archetipico di quello che i sovranisti chiamano spregiativamente il “deep state”: uno che non credendo a niente è ovviamente capace di tutto e di recitare tutti i copioni e tutte le parti in commedia. Un populista mainstream, un vero professionista del potere come intrigo, come affare, come doppio-fondo della politica e della morale.

Non è un caso che Conte faccia impazzire quel che resta della vecchia guardia dorotea, per quel mix di callida democristianeria, capace di ammazzare con le buone maniere e di piangere e celebrare il morto, e di mostrarsi sensibile agli umori della gente e alla retorica del popolo. Uno che sarebbe stato benissimo alla corte del Divo Giulio, ma non sarebbe mai diventato nello zoo di Piazza del Gesù un vero “cavallo di razza”.

Anche questo, infatti, è il populismo: non solo il ripudio della razionalità politica, l’impazzimento programmato del popolo, l’anti-pedagogia civile eretta a stile di governo e metodo di comando, la degradazione dell’ideologia a mera psicagogia delle masse, ma anche la promozione delle retroguardie assortite delle élite e della società alle massime magistrature della Repubblica, il trionfo della mediocrità, dell’assenza di idee, di visione e in fondo perfino di ambizione. Conte è quella cosa lì, al suo meglio e al suo peggio, la più presentabile e per questo la più pericolosa.

Non sappiamo se Conte abbia venduto a Zingaretti il sogno di un nuovo centro-sinistra in cui un M5S “contizzato” e civilizzato faccia semplicemente da sinistra della sinistra e si intruppi nel nuovo bipolarismo Salvini/Anti-Salvini che sognano dalle parti del Nazareno. Ma se l’ha fatto gli ha venduto un sogno che nessuno nel M5S ha mai sognato. E che diventerà presto un incubo per il PD. Non sappiamo che fine farà Conte, temiamo per la fine del PD, conteso tra la lusinga del trasformista devoto di padre Pio e il ricatto dell’ex scout di Rignano.

@carmelopalma