giuseppe conte quirinale

Ieri, sulle pagine de Il Foglio, Claudio Cerasa indicava la “discontinuità” intrinseca del nuovo governo Conte nel fatto che il M5S avesse deciso di fare una maggioranza con il PD: «passare nel giro di poche settimane dal governare con un altro partito populista e antieuropeista al governare con un partito non populista è il segno non solo di una resa ma di una certificazione plastica di discontinuità con il passato».

L’alleanza con il PD sarebbe la sanzione della mutata natura di un partito che cambia spesso pelle. È possibile? Certo. È probabile? Molto meno. C’è qualche evidenza, nel tono e nella sostanza delle dichiarazioni degli esponenti del M5S, che questo sia un processo effettivamente in corso? Assolutamente no.

L’unica cosa che può oggi spingere a credere che il Movimento 5 Stelle, che ha il doppio dei parlamentari del PD e che ha appena imposto al PD il Presidente del Consiglio uscente, si trasformi in una costola del centro-sinistra, è la pura e semplice volontà di crederlo. Nulla di meno, nulla di più. Non si tratta più neanche di preferire il meno-peggio al peggio. Si tratta di trasformare il peggio in meglio solo con l'aiuto della fantasia. Un po' come il Barone di Munchhausen che pretendeva di sollevarsi da terra tirandosi per i capelli. Auguri. 

Nel Governo e nel volto poco espressivo del suo presidente incaricato ognuno può vedere ciò che vuole, il compimento della sua lista dei desideri, il concretizzarsi di qualsiasi wishful thinking, senza uno straccio di elemento concreto che giustifichi la fiducia in un simile azzardo: può vederci la continuità e la discontinuità, la fine del populismo a cinque stelle o la sua definitiva sublimazione. E questo basta e avanza, a molti, per farlo nascere e augurargli lunga vita.

Così è - populista, democratico, progressista, continuista o di rottura - se vi pare. Il governo Pirandello.