Il Governo di bandiera e il feticcio della Nazione
Istituzioni ed economia
Chi ieri avesse scorso anche distrattamente le testate on line o, più professionalmente, le agenzie di stampa sarebbe stato affogato da una alluvione di dichiarazioni, prese di posizione, promesse e denunce improntate al più fiero e stolido nazionalismo economico.
Solo per enumerarne alcune, Di Maio ha promesso sostegni pubblici al solo “lavoro italiano, al lavoro qui in Italia” come se la catena del lavoro, alla pari di quella del valore, per un Paese integrato e in larga misura dipendente (in positivo) dalla propria crescente internazionalizzazione economica potesse essere segmentata in tante autonome componenti nazionali. Al di là di specifici incentivi, che sono ovviamente legati a una determinata “domiciliazione” del beneficio o del beneficiato, a essere sbagliata è proprio l’idea che quel che l’Italia, cioè le sue istituzioni, possono fare per l’economia del Paese – a partire dagli investimenti in formazione – possa essere sigillata nei suoi effetti all’interno dei confini nazionali.
Dopo poche ore, era il ministro dell’Interno Salvini a insorgere contro una (inesistente) direttiva dell’Organizzazione Mondiale della Sanità su alcuni prodotti tipici italiani (parmigiano, prosciutto crudo…), nell’ambito della campagna di prevenzione delle malattie non trasmissibili. La realtà è che le indicazioni riguardano in generale le etichettature dei prodotti, con riferimento alla presenza di sale e grassi saturi, che obiettivamente può diventare anche oggetto di barriere sanitarie cripto-protezioniste a danno delle produzioni italiane. Ma la reazione di Salvini che ha iniziato a farneticare sulla salubrità delle eccellenze italiane ha solo dimostrato che nazionalismo alimentare e negazionismo sanitario procedono di pari passo, sulla base dello stesso presupposto antirazionale.
A fine giornata è toccato al Ministro Toninelli pronunciare stentoree e non proprio originali parole in difesa della “italianità” di Alitalia, un evergreen del nazionalismo straccione pagato ripetutamente dai contribuenti italiani e oggi addirittura surreale, per una compagnia che copre solo il 15% delle quote di mercato in Italia. Il Governo di bandiera a difesa della ex compagnia di bandiera.
Il filo che lega queste tre posizioni non è solo retorico, ma ideologico. Il nazionalismo economico degli orfani delle nazioni ottonovecentesche – cioè delle vere padrone della politica e dell’economia internazionale pre-contemporanea – è tanto culturalmente imperialistico, quanto ormai svuotato di qualunque concreta effettività. Le nazioni (a maggior ragioni quelle molto sui generis, come quella italiana) non sono più il soggetto, ma il feticcio della potenza.
Il nazionalismo risorge a valle della fine dello stato nazionale come unità politica fondamentale. Il nazionalismo oggi – ovunque, ma in maniera quasi comica in Italia – parla dall’oltretomba della Nazione, come un fantasma che solo i matti o i fanatici o gli “autoradicalizzati” del populismo mondiale possono ritenere reale. Il fatto che la retorica dei Di Maio, Salvini e Toninelli “funzioni” non misura solo il loro consenso, ma la gravità della febbre e del delirio della società italiana.