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In tanti – almeno nella bolla social di chi scrive – invitano a fare un bel respiro e smettere di considerare troppo Matteo Salvini: la sua, dicono in sostanza, è strategia di comunicazione tesa ad alimentare gli estremismi e più la si commenta più si fa il suo gioco. Fermiamoci e studiamo questa cosa, poi vediamo cosa fare, e ripartiamo da altre cose.

Forse hanno ragione: è vero che quella di Salvini è una strategia, ed è vero che in questo momento reagire con veemenza significa fare il suo gioco. Ma studiarne la tattica e le mosse, probabilmente, era qualcosa da fare prima: il problema oggi - che pare per molti aspetti simile a quello rappresentato da Donald Trump dall’altra parte dell’Oceano - è che Salvini e i salvinisti sono nella posizione in cui oltre a parlare possono fare. E fanno e faranno, esattamente come Trump: la campagna elettorale permanente è fatta anche di azione distruttiva, ora che possono. Si auto-alimentano, anche senza lo sdegno dei 'radical chic' (ormai basta essere contrari ai cattivisti e ai disumanisti per essere radical chic).

Il loro negoziato non consiste più nell’alzare i toni, ma nel prendere in ostaggio esseri umani che respirano, chiunque essi siano: i bambini migranti separati dai loro genitori per Trump; centinaia di migranti lasciati in alto mare per Salvini per forzare l’intervento di altri Paesi europei. Quella salvinista, come quella trumpista – è qui forse il punto – non è più solo comunicazione, ma è comunic-azione, l’annuncio diviene sempre più contemporaneo al gesto.

E i limiti - la Costituzione, le regole internazionali, forse il buonsenso dei più - ci sono ancora, ma a furia di continuare a sottovalutare il potenziale distruttivo del salvinismo, il pericolo è scoprire troppo tardi tutta la fragilità di quei limiti, perché il gioco ha ormai cambiato regole: valgono cose che prima erano da cartellini gialli e rossi. Le leggi, perfino l’etica, vengono bypassate dalle policy d’azione, da quella comunic-azione roboante.

La sensazione allora, senza pretesa alcuna d’aver ragione o di vedere più lungo di altri, è che studiare come l’avversario colpisce è certamente necessario, ma non si può non reagire qui ed ora, cercando di assestare qualche colpo ben dato, sapendo che in molti casi sarà un’azione forzata, nient’affatto inaspettata, anzi ricercata. Ma l’alternativa è sperare di riuscire a reggere alla marea di colpi, compresi quelli ‘illegali’, avendo al contempo la forza di pensare, di trovare una debolezza e sfruttarla, con il nostro avversario che però ha ancora margine per farsi più forte e con la folla che urla sempre più eccitata dalla sua forza, e grida per mandarci al tappeto.