La geografia non si negozia. Benedetta sia la realpolitik dell'Europa
Istituzioni ed economia
Qualche giorno fa, in un suo editoriale sul Corriere della Sera, Angelo Panebianco ha accusato l'Unione Europea di seguire un'unica linea guida in politica estera e cioè quella di "cercare l'appeasement" o un "accomodamento" con i regimi che violano i diritti umani. A riprova di tale accusa Panebianco cita la "timida" condanna della repressione in Iran a cavallo del nuovo anno, e la condanna ferma della decisione di spostare l'ambasciata USA a Gerusalemme che, sempre secondo Panebianco, invece è pienamente in linea con un ragionamento geopolitico di Trump di nuovo indirizzato a contenere proprio l'Iran.
Panebianco infine accusa l'Europa di svolgere una politica estera "invertebrata" che punta a stabilire connessioni più strette con una serie di regimi illiberali a cominciare da quello russo. Riconosce che questo processo è stato "facilitato" per così dire dall'atteggiamento isolazionista di Trump, ma comunque sembra condannarlo anche senza "fare moralismo".
Che dire? Che forse è tempo di aprire un atlante e guardare alla carta geografica, e in particolare a quella enorme zona senza soluzione di continuità e senza oceani che la separano che si chiama Eurasia e guardare dove si trovano l'Italia e il resto dei paesi europei. E magari è anche tempo di guardare alle statistiche sulla crescita demografica ed economica di molti paesi definiti "autoritari", e di guardare da dove vengono le fonti energetiche che mandano avanti l'Europa e che i nostri cittadini vogliono sempre a buon mercato.
È proprio guardando a questi fattori che, lentamente e con tutte le difficoltà dovute all'anacronistica coesistenza di 28 (anzi presto 27) ministeri degli esteri indipendenti, si sta formando l'unica politica estera europea possibile, soprattutto in un momento di riallineamento internazionale in cui emergono nuovi attori che si presentano se non come alternativi almeno comprimari degli USA. Che altra politica estera potrebbe fare infatti un gruppo di paesi che:
1. si trova ad una media di due ore di volo da Mosca contro le 10 ore e mezzo che ci vogliono da Mosca a New York?
2. molto più degli USA, data la vicinanza a queste aree, ha dovuto sostenere storicamente gli effetti collaterali dei conflitti in Medio Oriente, anche quelli iniziati dall'"Occidente" stesso (vedi Iraq e Afghanistan), effetti che vanno dalle migrazioni agli attacchi di formazioni terroristiche formatesi nel vuoto di potere degli stessi conflitti e delle varie "rivoluzioni arabe"?
3. che non ha fonti energetiche proprie ma è costretto ad importarle nella quasi interezza da paesi "autoritari", dalla Russia all'Arabia Saudita, all'Iran?
4. basa la propria crescita economica, la stessa che i cittadini vogliono con forza, non solo sulle sinergie derivanti dal mercato unico, ma anche sulle proprie esportazioni verso il resto del mondo e quindi non può ignorare nuovi mercati per le nostre esportazioni (450 miliardi quelle italiane l'anno scorso, un record), anche a fronte di un' America che lancia tutti i segnali sbagliati uccidendo un TTIP già azzoppato da varie leggende metropolitane in Europa?
5. non ha la capacità di proiezione militare che hanno USA (e anche Russia e Cina) e anzi presenta un insieme di eserciti di modeste dimensioni che riescono a malapena a parlarsi l'uno con l'altro e comunque (per quelli che vi aderiscono) per ora solo sotto il cappello NATO?
6. ha necessità, su spinta della gran parte dell'opinione pubblica (e siamo in democrazia, non può piacerci solo alcune volte e non altre) se non di fermare, operazione illusoria, perlomeno rallentare i flussi migratori dall'Africa e Medio Oriente, e lo può fare nei tempi richiesti dalla democrazia (cioè oggi e non domani) solo facendo accordi con regimi autoritari, leggi Turchia, ma anche Libia fino alla caduta di Ghaddafi (come d'altra parte hanno sempre fatto anche gli USA nel loro cortile di casa)?
Panebianco ricorda il tempo in cui l'Occidente, unito, spingeva per l'affermazione della democrazia "ovunque possibile" e la costruzione di mercati aperti. Forse è stato proprio questo momento di hybris "occidentale" a portarci dove siamo ora: l'idea che la democrazia si possa esportare o costruire a tavolino e l'aver fatto confusione tra mercati aperti e democrazia come se le due cose fossero indissolubilmente legate, affermazione di cui non esistono prove incontrovertibili, così come ovviamente non ne esistono del contrario. E quindi non si può che guardare alla situazione caso per caso ed agire di conseguenza.
Si dimentica infine che proprio quella Unione Europea che si accusa di aver perso l'afflato "democratizzante" verso il resto del mondo è afflitta ancora da problemi di coesione interna e di ricerca di un equilibrio tra interesse nazionale ed interesse collettivo. Con questa situazione e tenendo conto dei vincoli di cui sopra, il fatto che l'Europa riesca ad esprimere un qualsiasi indirizzo di politica estera, per quanto possa sembrare insufficiente ad alcuni, è già un miracolo. Benvenga quindi la nuova realpolitik europea, per ora almeno.