In Francia vincono i candidati 'anti-partito' ed entra in crisi la V Repubblica
Istituzioni ed economia
I candidati dei due partiti sui quali si è consolidato il sistema politico-istituzionale della V Repubblica francese sono stati eliminati dal secondo turno delle elezioni presidenziali. Non vi sono precedenti di questa portata.
Giscard d’Estaing, il centrista futuro leader dell’Udf che nel 1974 si contrò con Mitterrand e vinse, era dal 1962 leale alleato dei gollisti. Nel 2002 la presenza di Jean Marie Le Pen al ballottaggio già segnalava una crisi, del sistema e del Ps, ma per lo meno l’avversario, Chirac, rappresentava uno dei due pilastri della politica francese.
Oggi assistiamo a un ballottaggio tra la candidata, Marine Le Pen, di un partito populista e antisistema, che vorrebbe far uscire la Francia dal suo tradizionale sistema di relazioni e alleanze e rinchiuderla in un protezionismo di merci, capitali e uomini, e un candidato outsider, Emmanuel Macron, che si è creato appositamente un movimento personale (En Marche - EM) e si pone esplicitamente al di fuori della dicotomia destra-sinistra, contro i partiti tradizionali.
Quali considerazioni possono discenderne?
Innanzitutto osserviamo che la politica francese si trova in uno stadio molto avanzato di personalizzazione, che in parte va a scapito dei partiti. Marine Le Pen si è presentata con un simbolo, la rosa blu, e il suo nome di battesimo, cancellando dalla rappresentazione della candidatura il proprio stesso partito, il Fronte Nazionale. Il partito però esiste ed è anche radicato sul territorio. Siamo qui di fronte ad un processo di ulteriore personalizzazione del Fn, con un probabile rafforzamento del ruolo del suo leader.
Il caso di Macron va oltre. Qui vediamo un vero e proprio partito (o movimento) personale creato appositamente (come, appunto, i partiti personali) per sostenere la corsa del candidato-leader. Anche il caso Mélenchon, che ha cannibalizzato il Ps, costituisce un esempio di questa personalizzazione: a capo di un movimento che ha federato diverse realtà in una offerta politica del tutto nuova, ne ha rappresentato il lovemark. Non bisogna dimenticare quanto la sua brillante apparizione al primo confronto tra i cinque maggiori candidati su TF1 abbia giocato a favore della sua ascesa nei consensi.
Ma è possibile pensare che un sistema politico possa poggiare prima di tutto su singole personalità? Il problema è enorme, non riguarda solo la Francia e non può essere sviscerato qui. Ma le elezioni francesi lo stanno ulteriormente illuminando.
Al tema della personalizzazione estrema, poi, si connette anche quello della retorica “anti-establishment”, che, pur con contenuti profondamente diversi, ha contraddistinto in modo netto tutti e tre i candidati sopra citati: Le Pen, Macron, Mélenchon. Non solo si personalizza spostando l’equilibrio del sistema dai fattori “strutturali” a quelli “personali” (e dunque anche caratteriali, con tutta l’aleatorietà che ciò implica), ma lo si fa proponendo una radicale trasformazione del sistema: insomma, la politica sembra divenire il gioco di più o meno solitari eroi “antisistema”. Problema enorme davvero.
Poi c’è il legame tra sistema dei partiti e sistema istituzionale. Il semipresidenzialismo francese presuppone la competizione tra potenziali maggioranze contrapposte. E il Presidente è un presidente governante se può di fatto contare su una maggioranza all’Assemblea Nazionale. Ciò era stato garantito sino a oggi dalle grandi forze politiche tradizionali (gollisti e loro alleati, socialisti). Vi sono molti dubbi che sia il Fn, sia En Marche siano in grado di produrre una tale maggioranza alla camera bassa. Peraltro, il radicamento territoriale dei partiti tradizionali pure in crisi, intersecando il sistema elettorale a due turni basato sui collegi uninominali, rende possibile che questi riescano comunque a ottenere una non irrilevante rappresentanza parlamentare.
Anche se il partito del Presidente, En Marche o il Fronte Nazionale, godrà sicuramente dell’effetto “luna di miele”, non si può escludere che l’Assemblea si trovi a essere frammentata e sia incapace di produrre una solida maggioranza. Nel caso di una vittoria al ballottaggio della candidata del Fronte Nazionale probabilmente si produrrebbe una empasse dagli esiti imprevedibili, essendo difficile immaginare una capacità di rassemblement da parte di Marine Le Pen. Nel caso di una vittoria di Macron, invece, è probabile che si inneschi una dinamica trasformistica, con il Presidente che fa da magnete rispetto a spezzoni di vari partiti (una situazione molto diversa da quella dei governi di minoranza del periodo 1988-1993, dove il Partito socialista aveva comunque il 45% dei seggi). Così si produrrebbero però maggioranze fragili e mutevoli.
Inoltre, una tale eventualità favorirebbe un governo “dal centro” contro le estreme di destra e sinistra, che a sua volta inibirebbe in prospettiva l’alternanza. Ovvero, si potrebbe produrre un assetto dove forze pro-sistema si contrappongono a forze anti-sistema. Forze antisistema che però rappresentano una parte molto consistente dell’elettorato. Altro problema di non poco conto.
In un caso del genere la figura del Presidente ne uscirebbe indebolita. E qui è necessaria una precisazione. Un tale scenario non ha nulla a che fare con la “coabitazione” che si è realizzata nei periodi 1986-88, 1993-95 e 1997-2002. In quelle fasi esisteva una solida maggioranza, solo che a capo di essa, invece del Presidente, c’era il Primo ministro. Nell’ipotesi descritta, invece, vi sarebbe un Presidente con una maggioranza fragile e un primo ministro impegnato a tenerla insieme o a trovarla di volta in volta. Il che potrebbe anche significare che lo stesso rapporto tra Presidente e Primo ministro muterebbe, con una maggiore forza del secondo e un rapporto più “dialettico” tra i due. Un assaggio di questo, in fondo, lo abbiamo già avuto durante i due esecutivi Hollande-Valls, con un Ps già diviso, anche a livello parlamentare.
Naturalmente siamo nell’ambito delle ipotesi, ma forse non così peregrine.
Non vi è comunque dubbio che questa tornata elettorale francese sta mettendo in primo piano delle criticità profonde, che riguardano soprattutto il venir meno della capacità dei partiti, e del sistema dei partiti, di sorreggere il quasi sessantennale meccanismo della V Repubblica. La crisi dei partiti nelle democrazie occidentali, denunciata ormai da molti anni, investe con particolare evidenza un sistema tanto solido quanto legato a condizioni che quella crisi sembra far venir meno.
Infine – e per concludere – non si può non notare come sia il Fn, sia En Marche rappresentino una pretesa per certi aspetti “totalizzante”. Se Marine Le Pen pretende di rappresentare il “popolo”, Macron pretende di rappresentare i “cittadini di buona volontà” che, di sinistra, di centro o di destra, sono pronti a unirsi a lui per riformare la Francia.
Pur nelle loro radicali differenze, entrambi si immaginano come “la soluzione”, non come parti di un meccanismo politico che funziona nel tempo in virtù dell’avvicendarsi di portatori di diverse soluzioni. In realtà, Fn e En Marche sono entrambi anti-partiti e non concepiscono tanto un sistema istituzionale che si innesta su di un sistema di partiti e sui suoi meccanismi, quanto un sistema istituzionale che funziona perché incarnato da uomini, o donne, di buona volontà. Ma le democrazie funzionanti non funzionano così.