25 aprile, liberazioni e celebrazioni: l'ennesima occasione mancata
Istituzioni ed economia
Il 25 Aprile, l’anniversario della Liberazione dell’Italia dal regime fascista e dall’occupazione nazista, in un Paese conscio della sua storia, dovrebbe essere un momento di ritrovo per le forze liberali e democratiche che settant’anni fa presero parte alla Resistenza e alla guerra di liberazione e oggi difendono la democrazia come strumento di rappresentanza e di governo adeguato ad un Paese civile. Ogni anno, invece, siamo costretti ad assistere al solito, scoraggiante siparietto: una sfilata ideologizzata di gruppi che poco o nulla hanno a che fare coi valori che mossero le coscienze resistenti.
Anche quest’anno la storia si ripete (come farsa, direbbe quello). Come in passato, dunque, con gli eredi di chi fece la Resistenza sfileranno anche sigle come BDS (“movimento a guida palestinese per il boicottaggio, disinvestimento e sanzioni contro Israele”) e una fricassea di altri gruppi e gruppetti che non vogliono arrendersi al fatto che la Festa della Liberazione è, o dovrebbe essere, per definizione, libera da caratterizzazioni politiche diverse da quelle della democrazia e della celebrazione di tutti coloro che hanno sacrificato la propria vita per liberare il nostro Paese.
La presenza massiccia, nei cortei di commemorazione della Liberazione, di gruppi filopalestinesi ed anti-israeliani - posizione che, per essere chiari, chi scrive ritiene spesso un velo ipocrita per nascondere il caro vecchio semplice antisemitismo - già costrinse la comunità ebraica e l’ANED (Associazione Nazionale Ex-Deportati) a ritirarsi dalla manifestazione nel 2015, e oggi induce il PD a fare lo stesso, sancendo il clamoroso strappo fra la sinistra e l’ANPI.
Il massimo dello sforzo che l’Associazione nazionale partigiana di Roma ha fatto per tenere insieme le diverse anime della Liberazione non va oltre un generico “tutti hanno diritto a partecipare” rivolto a chi vorrebbe celebrare il coraggio e l’eroismo della Brigata Ebraica, circa cinquemila soldati che combatterono in diverse zone d’Italia, contribuendo alla sconfitta del nazifascismo. Già, peccato che da anni, come accennavamo sopra, il corteo partigiano sia sostanzialmente appaltato ai “resistenti” filopalestinesi - peraltro, nei fatti, eredi ideologici del gran Muftì di Gerusalemme, alleato e amico di Hitler, che negli anni ‘30, alla ricerca di consenso nel Vecchio Continente, appoggiò entusiasta il dittatore tedesco nel suo programma di sterminio del popolo ebraico.
Se a Roma l’ANPI invia un comunicato pilatesco e ipocritamente “bipartisan” nel quale invita sia la comunità ebraica che i filopalestinesi a partecipare alla manifestazione, però, un’aria diversa tira, per fortuna, nella colonna milanese dell’associazione partigiana, il cui presidente Roberto Cenati ha esplicitamente ricordato il coraggio e il sacrificio della Brigata Ebraica e si è espresso con un secco e deciso no all’appello lanciato da BDS di elencare, su striscioni e cartelli, “i villaggi palestinesi distrutti da Israele dal 1948 in poi”. Questo, nelle parole di Cenati, “non ha nulla a che fare con la ricorrenza della Liberazione e rischia di creare pericolose tensioni che potrebbero turbare lo svolgimento della manifestazione nazionale, che anche quest'anno sarà sicuramente partecipata, numerosa e pacifica”. Sempre il presidente dell’ANPI milanese sottolinea: “iniziative come il boicottaggio non hanno nulla a che fare con le celebrazioni del 25 Aprile”.
Il risultato di queste divisioni ideologiche e della mancanza di coraggio da parte di chi si appropria della celebrazione della Resistenza, ma non è capace di difenderla dai nipotini degli alleati di Hitler, è che a Roma la commemorazione della Brigata Ebraica si svolgerà separatamente.
Certo, la questione israelo-palestinese è – per usare un eufemismo - estremamente delicata, e nessuno da queste parti pensa di risolverla con un articolo su un magazine online o con una bandiera in un corteo. Quello che sembra assurdo è che tali istanze trovino voce in un'occasione che dovrebbe unirci in quanto italiani, cittadini liberi di un Paese democratico, e non dividerci, ancora una volta, su argomenti pretestuosi.