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Guido Russo Perez: «Nella pratica non è così semplice distinguere fra guerre giuste e guerre ingiuste. (…) La guerra della Russia alla Finlandia è una guerra di difesa o una guerra di aggressione?». 

Girolamo Li Causi: «La guerra fascista e la guerra di liberazione: quale è giusta e quale ingiusta?» 

(Assemblea Costituente, seduta del 14 marzo 1947)

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Pace e libertà possono esistere indipendentemente l’una dall’altra?

Chi - come Alessandro Orsini - sostiene che un bambino possa crescere felice anche in una dittatura, se questa è in grado di assicurare la pace, dà una risposta affermativa. Uguale risposta la danno coloro che - come Liguori e Sansonetti - sostengono che la resa abbia una sua dignità. Pure l’ambigua posizione dell’Anpi contro il supporto alla resistenza ucraina presuppone la medesima risposta: meglio la pace, che la libertà.

Ma che pace è senza libertà?

Quel bambino lasciato libero di giocare a palla in strada sotto il regime, come crescerà assistendo ogni giorno al giogo a cui sono asserviti i suoi genitori? Quando sarà appena un po’ più grande, che ne sarà della sua serenità di fronte all’incarcerazione o all’uccisione di giornalisti e attivisti politici? Come si porrà, il regime, di fronte alla sua omosessualità? Potrà suonare in una band e scrivere dei testi di denuncia sociale? Se studierà e avrà dei meriti, potrà pensare di giocarseli liberamente nel mondo del lavoro o imparerà la lezione della mafia e della corruzione?

Una pace sotto il regime è una pace meschina, infetta. Una pace che nutre i germi del tumulto. È ovvio che sia meglio vivere sotto un tiranno che sotto le bombe. Ma l’alternativa così posta è tanto furba quanto falsa. Come direbbe Orsini, le cose sono più complesse. Non c’è vera pace, senza libertà. E - la Storia insegna - non c’è mai stata libertà senza scontro.

Anche la libertà sancita dalla nostra Costituzione è figlia di una guerra: quella di liberazione. La guerra non è estranea alla nostra Carta, ne è la genitrice.

Per tanto - in questo 25 aprile più di ogni altro - bisogna intendersi sul tipo di pacifismo sancito dall’art. 11 Cost. (“L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali”). Un pacifismo tutt’altro che assoluto.

Il ripudio della guerra in Costituzione è rifiuto di ogni forma di sopraffazione e prevaricazione. Di ogni forma di offesa alla libertà.
La pace è un obiettivo, la guerra può costituire - purtroppo - ancora un mezzo.

Mario Assennato, deputato del PCI, nella seduta dell’Assembla costituente del 17 marzo 1947, precisò a tal proposito che «La rinunzia alla guerra non va intesa in senso pacifista assoluto, cioè nel senso di rinunzia al diritto e al dovere di difesa del territorio, dell'indipendenza, della libertà, della Costituzione, ma come ripudio delle guerre di aggressione, di predominio, di compressione della libertà altrui».

L’art. 11 Cost. non è l’art. 9 della Costituzione del Giappone del 1946, per il quale «Aspirando sinceramente ad una pace internazionale fondata sulla giustizia e sull’ordine, il popolo giapponese rinunzia per sempre alla guerra, quale diritto sovrano della Nazione, ed alla minaccia o all’uso della forza, quale mezzo per risolvere le controversie internazionali. Per conseguire, l’obbiettivo proclamato nel comma precedente, non saranno mantenute forze di terra, del mare e dell’aria, e nemmeno altri mezzi bellici. Il diritto di belligeranza dello Stato non sarà riconosciuto».

Il problema sorge rispetto agli interventi a favore di altri paesi, posto che la guerra viene ripudiata dal nostro art. 11, oltre che come strumento di offesa della libertà, anche come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali. Il che ci impone di interrogarci sul concetto di “controversia internazionale” e, di riflesso, su quello di “guerra giusta”, categorie sulle quali, dopo l’invasione russa dell’Ucraina, si impongono nuove riflessioni.

Ebbene, se la “controversia” presuppone una contesa reciproca, possiamo dire di essere di fronte ad una “contesa” se una delle parti in gioco si contende null’altro che la propria libertà, sul proprio terreno, come sta facendo l’Ucraina contro l’invasione della Russia? E possiamo definire ingiusto, cioè non rispondente a giustizia, il supporto che venisse dato ad una nazione invasa?

All’Assemblea Costituente Togliatti disse: «È vero che per fare la guerra bisogna essere in due e che una delle parti può sempre dichiarare: noi la guerra non la vogliamo; ma per dichiararla, la guerra, basta uno solo. Di questo bisogna tener conto» (seduta del 25 marzo 1947). Aggiungendo: «Guai alla democrazia, quando essa non riesce più a capire da che parte sono i suoi nemici!»

Sant’Agostino, a cui si fa solitamente risalire lo sviluppo delle teorizzazioni sulla “guerra giusta” del diritto romano, scrisse: «Come chiamare una guerra fatta contro popoli inoffensivi, per desiderio di nuocere, per sete di potere, per ingrandire un impero, per ottenere ricchezze e acquistare gloria, se non un brigantaggio in grande stile? [...] Per i malvagi, fare la guerra è una fortuna; per i buoni, tuttavia, la guerra è una necessità» (Agostino, De Civitate Dei, IV, 6.15).

Ancora nel corso dei lavori dell’Assemblea Costituente, Giolitti affermò che se dovessimo accettare un pacifismo assoluto e una neutralità perpetua, e che «in un conflitto di colossi bisogna rimanere assenti, allora dovremmo addirittura dire che la nostra guerra di liberazione, la nostra guerra partigiana è stata perfettamente inutile, è stata un inutile massacro che non ha portato nessun frutto» (seduta del 20 maggio 1947).

A ben vedere, sarebbe riduttivo considerare il supporto difensivo ad una nazione ingiustamente aggredita uno strumento di risoluzione di una “controversia internazionale”: si tratta, semmai, di uno strumento di difesa della libertà di un popolo, per usare le parole dell’art. 11 Cost. Ma anche volendo ritenere che un’aggressione unilaterale come quella russa possa generare tecnicamente una “controversia”, il supporto all’aggredito non mirerebbe alla risoluzione militare della contesa, bensì - al contrario - a creare le condizioni affinché l’aggredito possa aspirare ad una risoluzione pacifica. Cioè: il supporto ad una nazione sotto attacco tenderebbe a creare le condizioni per un ritiro dell’aggressione, affinché la questione possa avere un seguito e una risoluzione pacifici, anziché militari.

Non ammettere la legittimità di un simile supporto difensivo, significherebbe proprio il contrario di ciò che afferma la norma costituzionale. Significherebbe permettere che la guerra, condotta da uno stato più forte verso uno stato più debole, possa dispiegare tutta la sua drammatica potenza fino alla fine.

In un simile caso, si finirebbe per far coincidere la fine dell’aggressione e dello scontro (tecnicamente: la “risoluzione della controversia”, per chi ritiene di essere di fronte ad una simile fattispecie) con la consumazione dell’atto di guerra in tutta la sua capacità annientatrice.

La fine della contesa, in un simile caso, coinciderebbe con la fine dell’aggredito. Non ammettere il supporto bellico a difesa di un paese invaso - anche oltre il semplice invio di armi - implicherebbe il trionfo della guerra, non il suo ripudio. Per questo non è giusto, e nemmeno conforme a Costituzione, pretendere la resa dell’Ucraina. È proprio vigliacco chiedere la pace pretendendo che un intero popolo accetti il giogo dell’invasore.

Cosa avrebbero detto Pizzoni, Longo, Sereni, Pertini e Valian se in un talk show qualcuno avesse osato pretendere la loro resa. Se qualcuno avesse criticato il supporto dato dagli alleati americani al CLNAI?

Nella seduta dell’Assemblea Costituente del 14 marzo 1947 il deputato Guido Russo Perez, eletto per il Fronte dell'Uomo Qualunque e poi diventato missino, contestò l’idea che la Costituzione potesse ammettere una “guerra giusta” dicendo: «Nella pratica non è così semplice distinguere fra guerre giuste e guerre ingiuste. (…) La guerra della Russia alla Finlandia è una guerra di difesa o una guerra di aggressione?». Gli rispose eloquentemente Girolamo Li Causi del PCI, negli anni ’20 arrestato per la sua attività antifascista e condannato a ventun anni di carcere: «La guerra fascista e la guerra di liberazione: quale è giusta e quale ingiusta?».

Ci sono cose complesse e cose che complesse non sono. Schierarsi il 25 aprile inequivocabilmente contro la Russia e a sostegno della resistenza ucraina, senza riserve e distinguo, dovrebbe essere un esercizio semplice di onestà morale. Chi non ci riesce o non vuole, non è degno di scendere in piazza a celebrare la liberazione. La guerra di liberazione.