Bandiera UE strappata

Il premier britannico Theresa May il 17 gennaio ha dissolto ogni dubbio: il Regno Unito lascerà l'Unione europea e, con questa, il mercato unico. L'intenzione è di provare a negoziare nuovi accordi commerciali con l'Ue dopo aver ripreso interamente possesso dei poteri sovrani ceduti all'Unione europea. Il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, che domani entrerà in carica, ha lasciato intendere una possibile revisione del ruolo americano nella Nato, in base a una verifica dell'utilità dell'alleanza atlantica per quelli che la nuova amministrazione considera essere gli obiettivi e interessi nazionali.

Queste notizie hanno messo in allarme molti liberali e democratici europei, in particolare i sostenitori della Ue 'dei trattati'. Ci si indigna per la possibilità che Stati Uniti e Gran Bretagna, in preda ad allucinazioni populiste, creino tensioni tali da mettere in discussione l'ordine internazionale che ha regolato l'Occidente democratico negli ultimi decenni. Ci si affanna a scrivere articoli per mettere in guardia questi Paesi dalle disastrose conseguenze economiche, politiche e anche morali a cui andranno incontro se proseguiranno sulla "strada del populismo". Si fanno accorati appelli ai valori europeisti in difesa dell'Unione europea, contro le propagande protezioniste nazionali.

In uno scenario effettivamente preoccupante, quest'indignazione virtuosa lascia perplessi, per il modo in cui scarica su altri Paesi - le cui scelte sono, per quanto poco condivisibili, legittime e convalidate dal consenso interno - la responsabilità dei fattori di instabilità che, nei prossimi mesi e anni, interesseranno plausibilmente soprattutto l'Europa e i paesi europei. Attribuire a Trump, alla Brexit, allo "spettro del populismo" o a quello della "post-verità", o alla Russia le colpe dei mali del mondo può essere un esercizio intellettuale rassicurante per individuare dei cattivi da esorcizzare, ma rischia di far perdere di vista i problemi concreti, compromettendo la ricerca di soluzioni.

Il problema più grave della Ue è la Ue, che per via dei trattati è disfunzionale e condannata prima o poi a integrarsi o a sfasciarsi. L'europeismo "dei trattati" non è credibile e fa a pugni con la realtà: la Ue sta insieme soltanto se soggetti sovrani terzi si fanno carico 'di fatto' di alcuni problemi e ambiti di policy collettiva europea. Questo avviene in molte materie: dalla sicurezza internazionale dell'area, garantita nei fatti dagli Stati Uniti, alla gestione dei confini europei, di fatto ricadente sulle spalle dei Paesi periferici; dalla gestione dei flussi migratori, per affrontare i quali la Ue ha finito per "affittare sovranità" dalla Turchia di Erdogan, alla sostenibilità dei debiti sovrani di alcuni Paesi, consentita soltanto dalla garanzia fiscale implicita della Germania e dai programmi provvisori di quantitative easing della Bce (che succederà quando finiranno?), non certo dagli ormai non più credibili parametri di Maastricht.

L'Ue è possibile non grazie ai trattati, ma loro malgrado, grazie ai poteri sovrani informalmente prestati da altri soggetti che ne dispongono. Non può essere altrimenti. Come già ricordato qui su Strade, i trattati fondativi dell'Ue funzionano solo quando l'Unione non è sottoposta a tensioni che impongono l'assunzione di decisioni collettive. Nelle emergenze di qualsiasi natura, i trattati producono invece un cortocircuito, perché da un lato privano i governi degli strumenti sovrani (leve fiscali, strumenti efficaci di controllo delle frontiere ecc. strumenti decisionali diplomatici e militari) per farvi fronte, dall'altro non ricreano - non possono farlo, senza una vera legittimazione democratica - strumenti analoghi a livello europeo.

I governanti nazionali sono così costretti, per fronteggiare le crisi, a scegliere tra il rispetto degli accordi e il rispetto del consenso interno. Nel primo caso si generano tensioni politiche fortissime all'interno dei singoli Paesi, tali da mettere a rischio la tenuta dei governi e delle istituzioni, nel secondo, la violazione dei trattati rischia di innescare processi fattuali di disgregazione dell'Ue. È solo grazie all'intervento di Paesi e istituzioni terze che l'Ue non è ancora saltata in aria.

Per quanto riguarda la Nato, chi sostiene che "la Nato è un accordo in cui tutti i Paesi si devono assumere le loro responsabilità" afferma una verità giuridica formale ma inconsistente. Nel 2016 - come di norma nella storia dell'alleanza - la spesa militare degli Stati Uniti è stata di 664 miliardi di dollari, più del doppio di quella di tutti gli altri Paesi Nato messi insieme (253 miliardi, il totale del budget militare dei Paesi alleati è stato di 918 miliardi). Quando si parla di Nato, onestà intellettuale imporrebbe affermare che la Nato sono gli Stati Uniti, che garantiscono la sicurezza a tutti gli altri membri.

Il cosiddetto Occidente democratico può far valere nel contesto globale i valori di "libertà, democrazia, tolleranza eccetera" e la possibilità di un economia "libera, aperta, eccetera", solo grazie alla forza militare americana. Se gli Stati Uniti valuteranno che non è più nel loro interesse proteggere l'Europa, i Paesi europei non potranno più evitare il problema di come garantire la propria sicurezza e far valere le loro ragioni, scegliendo tra quelle nazionali e quella collettiva europea.

Il 2017, è la preoccupazione di molti, rischia di passare alla storia come l'anno in cui la 'post-verità' ha messo in crisi l'ordine internazionale democratico. Più concretamente, per gli europei ed europeisti rischia di essere l'anno di un brusco risveglio dalle proprie illusioni nell'arena reale della politica internazionale, dove la difesa di interessi e di valori democratici e liberali non è a costo zero, e non può essere condotta con le regole da condominio dei trattati comunitari.

Dovremo confrontarci inevitabilmente con il problema dell'assunzione diretta della responsabilità dei nostri interessi, e non potremo più rinviare la scelta tra quelli nazionali - come ha fatto la Gran Bretagna - e quelli di una federazione politica europea, dopo che per anni ci siamo cullati nel privilegio di non dovercene occupare.