Il Partito della Nazione non c'è più. E nemmeno il centrodestra
Istituzioni ed economia
“La battaglia contro l’austerità, la battaglia contro il fiscal compact, la battaglia per politiche sociali più rivolte alle persone, la battaglia per la youth guarantee, per la child guarantee, la battaglia perché le tasse le paghino le imprese dove fanno i profitti e non dove mettono la sede fiscale”. Se, come scandiva ieri Gianni Pittella all’assemblea del Partito Democratico, sono queste le battaglie che fondano oggi il Partito del Socialismo Europeo, sulle quali il Partito del Socialismo Europeo sta consumando la rottura della stagione delle grosse koalitionen con il Partito Popolare Europeo, e che dovrebbero costituire il cardine della nuova leadership renziana del PD che verrà, si può dire che il progetto di Partito della Nazione, se mai è nato, sia già ufficialmente morto e sepolto.
Non che il leader democratico lucano-europeo abbia tutti i torti: la scelta forzata tra movimenti anti-europei e anti-sistema da una parte e alleanza socialista-popolare dall’altra ha dato vita a un bipolarismo anomalo, una parentesi alla quale è opportuno porre fine per fare in modo che la dialettica tradizionale tra progressisti e conservatori ritorni ad occupare la scena della politica europea - e dei paesi europei - e consumi il brodo nel quale crescono e si sviluppano i populismi.
La lezione dell’Austria, dove gli elettori che volevano esprimere anche un ragionevole e fisiologico malcontento nei confronti del governo non avevano altra scelta che votare per opzioni “anomale” come l’estrema destra o i verdi deve effettivamente far riflettere: molto meglio tornare a proporre agli elettori una scelta tra due visioni contrapposte e “di sostanza”, ma che si riconoscano comunque nei valori fondanti dell’Unione Europea e dello stato di diritto.
Ma se l’elenco dei valori pittelliani, che ieri è stato ampiamente ruminato nella grande pancia di una direzione del PD che sta effettivamente riposizionando il partito e il suo leader - suo malgrado - su posizioni più apertamente laburiste, il problema oggi si pone, almeno per l’Italia, dall’altra parte del fiume: il centrodestra dov’è?
Non c’è, anche se mai come oggi lo spazio ci sarebbe: non è ancora quantificabile la perdita di consenso del M5S dopo il disastro romano. Quello che è certo - se vi sarà - è che non andrà ad alimentare il bacino elettorale del PD. Anzi, anche il probabile ritorno del PD nella sua tradizionale dimensione elettorale (e ideologica), dopo la sbornia renziana delle origini, contribuirà ad alimentare il grande partito dei senza-partito e dei senza-speranza.
Eppure anche alla prossima tornata elettorale - perché non ci sono i soldi, perché tanto andiamo a sbattere, perché comunque c’è Berlusconi che occupa un pezzo della scena, perché manca un leader, e le scuse potrebbero proseguire all’infinito - l’opzione moderata non comparirà sulla scheda elettorale, e non ci sarà neppure un Renzi a surrogarla.