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C'è un lato oscuro del No referendario, che non ha niente a che vedere con il testo della riforma, né con la buona fede di chi la contrasta, né con i ragionamenti che in queste ore stanno facendo i milioni di italiani chiamati a votarla.

Il lato oscuro del No sono i calcoli dei partiti e dei pezzi di partito che nel No si riconoscono sull'opportunità storica che sembra a portata di mano, quella di usare un'eventuale vittoria del No per abrogare, insieme alla legge oggetto del quesito, l'intero orientamento politico emerso dal 1994 a oggi dal voto popolare e restaurare il sistema più amato dalle burocrazie politiche italiane: il vecchio proporzionale, quello che nell'intero arco della Prima Repubblica consentiva a schieramenti con il 3 o il 4 per cento (talvolta anche meno) di esprimere parlamentari e ministri, di esercitare azioni interdittive sui governi, di gestire potere, insomma, al di là della loro irrilevante forza numerica.

Nelle retrovie del dibattito referendario già si stanno facendo i calcoli. Leader del niente o del quasi-niente immaginano rappresentanze di quaranta o cinquanta tra deputati e senatori, e quel che ne potrebbero fare nell'immaginario scenario di un governo di coalizione: quanti sottosegretari, quanti dicasteri. E la vasta opinione pubblica del No, quelli che in buona fede pensano di respingere “la riforma sbagliata” della Costituzione, non avrà alcun peso su questo “dopo”, né potrà determinarne in alcun modo l'esito: dovrà mangiare la minestra, e probabilmente rassegnarsi al combinato disposto “proporzionale più preferenze”, la micidiale associazione che per cinquant'anni ha degradato la nostra politica, favorito le forme più abiette di clientelismo, incoronato mezze tacche ad arbitri delle grandi decisioni del Paese, sottratto ogni forma di controllo e sovranità alle opposizioni, favorito il proliferare di partitini.

Questo non è un articolo a favore o contro la riforma Renzi. È un articolo che cerca di presentare questo “lato oscuro” che esiste, e di cui non si sta parlando abbastanza, e che è fondato sulla speranza di larghi settori dei partiti di ribaltare l'indirizzo politico espresso dagli italiani fin dal 1993, quando con un voto plebiscitario gli italiani chiesero l'abolizione del proporzionale e imposero l'inizio dell'era del maggioritario.

Quel voto non arrivò all'improvviso. Già nel 1991 un quesito proposto da Mariotto Segni puntava a scardinare il sistema, ma la Corte Costituzionale lo dichiarò inammissibile e sottopose al giudizio degli italiani solo quello riguardante l'abrogazione delle preferenze multiple, che passò in modo plebiscitario. La spallata referendaria al proporzionale e alla Prima Repubblica arrivò due anni dopo, nel 1993. E contro il proporzionale (o meglio: contro la residua quota di proporzionale rimasta nel cosiddetto Mattarellum) il Paese votò in massa (91,5 per cento) anche nel 1999, al referendum Segni-Di Pietro-Pannella, ma l'obiettivo fu mancato solo perché la strenua lotta delle vecchie filiere politiche riuscì a impedire il raggiungimento del quorum per una manciata di voti, appena 150mila.

Quel che pensano adesso i partiti è di poter finalmente ribaltare questa storica tendenza dell'elettorato italiano, usando il No alla riforma Renzi come grimaldello per riabilitare il sistema elettorale che gli italiani hanno respinto, o cercato di respingere, per tutta la loro storia recente, in ogni occasione che hanno avuto per pronunciarsi sul tema. E rientreranno dalla finestra anche le preferenze multiple, quelle abolite nel 1991 sempre per via referendaria, travestite da “voto rosa”, con l'escamotage della doppia preferenza di genere.

Una manovra che già è in atto, contro la quale i cittadini nulla potranno perché sarà gestita nei corridoi di palazzo, in accordi lontani dai riflettori, e determinerà il prossimo ciclo elettorale per di più con la forza di una presunta investitura popolare. “Il popolo lo vuole”, si dirà. E poco importa che il popolo abbia votato su tutt'altro – la riforma della Costituzione – perché non ci sarà certo il popolo ai tavoli che decideranno come aggiustare le cose nella prossima legislatura, che potrebbe segnare la restaurazione della Prima Repubblica e il recupero di potentati politici che altrimenti sarebbero destinati a scomparire.