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Salutare il divorzio da Salvini e Meloni a Roma come una svolta liberale e moderata del Cav. appartiene alla retorica conformista di una pubblicistica abituata, in genere, a riconoscere a Berlusconi grandezze e piccolezze superiori alla sua reale misura.

La rottura sulla candidatura Meloni non è la prova della resistenza ideologica di Berlusconi alla lepenizzazione della destra italiana. È la presa d'atto che, nella destra lepenizzata e raccolta attorno ai nuovi masanielli della frustrazione popolare, a dare le carte e ad avere l'ultima parola non può più essere il Cav., che si porta peraltro appresso, con il peso di un ventennio di politica logorante, anche quello di interessi finanziari ed editoriali sempre meno "dominanti" e bisognosi di alleanze interne e internazionali.

Non si può dire invece che la svolta moderata svelerebbe una sorta di dispetto per la piega populista presa dal centro-destro italiano, visto che di quella piega - su tutti i temi che contano: economici, sociali, civili e internazionali - è stato responsabile e attore per primo lo stesso Berlusconi, quando prendendo congedo dalla scommessa di governo (ben prima del commissariamento e della resa di fine 2011) scelse di coltivare la retorica recriminatoria e vittimistica del "complotto contro l'Italia", per scaricare il peso del suo fallimento e per occupare direttamente quello spazio che vedeva aprirsi a destra della destra europea.

Salvini e la Meloni sono due figli legittimi di questa strategia, che Berlusconi ha programmaticamente perseguito, ma non dominato. I mostri cui i due giovani leader "immoderati" addebitano le difficoltà italiane sono gli stessi - la Merkel, l'Europa, le élite finanziarie internazionali - a cui Berlusconi ha imputato l'usurpazione del suo scettro da parte di Mario Monti, descritto per anni da giornali e tv berlusconiane come il mandatario dei poteri forti e il commissario liquidatore della democrazia italiana, in combutta con Washington, Berlino e Bruxelles. Berlusconi non sta affatto stretto nella retorica nazionalista anti-europea e anti-occidentale di Meloni e Salvini. Sta stretto, anche psicologicamente, in un centro-destra che non è più "suo", se non in una misura sempre più residuale e con un elettorato sempre meno disposto a riconoscergli un ruolo decisivo.

Questa condizione di minorità ha aperto a Berlusconi una prospettiva più promettente, anche per arginare il collasso di voti di Forza Italia: quella di riposizionare al centro le truppe residue e di giocare in proprio una partita che non può più essere maggioritaria, ma che potrebbe non essere irrilevante, se Berlusconi riuscisse a tenere in piedi, anche in vista della prossima legislatura, una opposizione "dialogante" con il PD renziano. Qualcosa di meno di un nuovo Nazareno, ma anche di meno umiliante del finire arruolato con un rango da ufficiale minore nella destra anti-tutto di Salvini e Meloni.

Di certo, non è questa scelta a battezzare la nascita di una nuova "destra normale", che in Italia, se mai rinascerà, vedrà la luce oltre - e in larghissima misura contro - i camuffamenti e i trasformismi del Berlusconi solitario y final.

@carmelopalma