La porta è quella, se volete. Ragioni per un nuovo convinto europeismo
Istituzioni ed economia
La porta è quella, chi vuole si accomodi. Valeva per i greci, se avessero voluto (e se ancora vorranno), e a maggior ragione vale per il Regno Unito. A questo punto, sarebbe opportuno che il famigerato referendum annunciato da David Cameron per la permanenza dei sudditi di Sua Maestà Elisabetta II nell’Unione Europea si tenga quanto prima. Sarebbe un elemento di chiarezza per tutti, nell’intero Continente.
Dopo gli anni dell’europeismo acritico, stiamo vivendo l’epoca del “dagli all’Europa”. Se ti definisci “europeista” sei un fesso, un illuso che crede alle favole. Quelli che la sanno lunga sono anti-euro o almeno euroscettici, se hai gli attributi stai direttamente con Putin, a sinistra "viva Tsipras" e "abbasso la Merkel". Invece è venuto il momento di rivendicare la forza, la legittimità e lo straordinario valore di una visione europeista, che chieda maggiore integrazione politica e che si rivolga idealmente a centinaia di milioni di cittadini europei.
Intendiamoci: nessuno può sinceramente difendere l’architettura europea per quella che è oggi, con le sue ambiguità istituzionali, la scarsa legittimità politica delle figure di vertice, le pezze messe in questi anni a coprire le falle di una unione monetaria nata monca, la debolezza di Bruxelles come attore globale e centro di risoluzione di grandi crisi comuni e storiche (vedi immigrazione e instabilità delle regioni alla periferia dell’Europa).
Tuttavia, proprio l’elenco delle storture bruxellesi (che potrebbe continuare a lungo) è una ragione per intensificare il percorso dell’Unione. Gli anni terribili di crisi economica che abbiamo vissuto, la tremenda instabilità delle regioni alla periferia dell’Europa, la minaccia del terrorismo, la demografia sfavorevole, sono ragioni per rilanciare e completare il progetto dell’Europa unita, non per lasciarsi cullare dall’illusione del "si salvi chi può".
Uno può dare per scontati la pace, la convivenza tra i popoli, il libero commercio, l’Erasmus o la Champions League, ma non lo sono affatto, nemmeno la Champions League. Secondo uno studio di Whitehall del 2014, l’adesione del Regno Unito alla Comunità Economica Europea nel 1973 (quella delle quattro libertà fondamentali, inclusa la libertà di circolazione delle persone) ha fruttato un buon 25 per cento di crescita del Pil pro capite. Per qualsiasi Paese compiate l’analisi, troverete cifre simili se non migliori.
Senza la deregolamentazione del mercato aereo europeo, non avremmo vissuto e goduto dello straordinario sviluppo del trasporto aereo a basso costo (“EasyJet è il prodotto della deregulation del mercato aereo europeo”, ha detto al Guardian Carolyn McCall, chief executive dell’azienda). Discorso analogo per i servizi professionali, per la manifattura, per l’agricoltura, per i mercati finanziari (a grande beneficio della City londinese, peraltro). C’è ancora molto da fare per completare il mercato interno, ma quel che già c’è ha prodotto benefici straordinari per produttori e consumatori europei.
Nel Partito Conservatore britannico c’è chi allora dice: bene, teniamoci l’area di libero scambio, creiamo un forum di coordinamento intergovernativo non troppo vincolante e smantelliamo tutto il resto. Sinceramente, detto con rispetto, ricorda un po' quegli uomini che vogliono lasciare la fidanzata proponendole però di continuare a incontrarsi, di tanto in tanto. Lei ragiona di matrimonio, lui le chiede di scopare.
Che piaccia o meno, anche il Regno Unito ha siglato nel 1992 il Trattato di Maastricht, che ha introdotto lo storico principio della libertà di circolazione e di soggiorno delle persone all’interno dell’Unione Europea. E’ la pietra angolare della cittadinanza europea, un concetto che può apparire freddo e grigio agli occhi di chi è troppo abituato alla simbologia ottocentesca degli Stati nazione, ma che senza accorgercene sta entrando nel vissuto quotidiano di milioni di europei, soprattutto tra chi è nato dagli anni Settanta in poi. Viaggiando, studiando, vivendo altrove, innamorandoci, abbiamo goduto dei benefici dello spazio civile europeo. Rinunciarvi, perché mai?
La tensione costante per l’espansione dei diritti civili, dal matrimonio egualitario alle scelte bioetiche, si alimenta della coesistenza di regolazioni diverse. Le ferite sanguinanti di confini disegnati con la violenza si sono all’improvviso rimarginate: a Gorizia e Nova Gorica non c’è più frontiera, Germania e Polonia sono sempre più integrate, l’ingresso futuro di Serbia, Bosnia e Macedonia nell’Unione Europea potrà sanare quella follia collettiva che fu la guerra in Jugoslavia.
L’Europa del 2015 non può retrocedere ad un’area di libero scambio, perché le ragioni che spingono una parte dei conservatori britannici a proporre la chiusura delle frontiere ai migranti UE senza lavoro sono molto simili a quelle di chi chiederebbe – un minuto dopo – la chiusura del mercato ai prodotti e ai servizi britannici. O spagnoli o polacchi o svedesi. Quando pensi alla politica come alla media delle opinioni del tuo elettorato, finisci per essere vittima delle paure e delle peggiori pulsioni. Nel 2005 i francesi e gli olandesi bocciarono con un referendum la Costituzione Europea perché avevano paura di essere invasi da “idraulici polacchi”: oggi nella sempre più dinamica Varsavia trovi giovani ingegneri francesi, olandesi, tedeschi o italiani. Davvero il governo Cameron vuole oggi assecondare le stesse irrazionali paure? Noi abbiamo fiducia nella saggezza britannica.