esodo

"Io li lascerei chiudere, poi vediamo cosa succede. Cosa diranno gli altri Stati europei? Cosa diranno quando l'Olanda vorrà portare la carne in Italia?"

L’assessore del comune di Brennero, Giovanni Pederzini, intervistato davanti ai “lavori in corso” per la costruzione della barriera che dovrebbe proteggere l’Austria dal flusso di profughi da Sud - e soprattutto il governo di Faymann dall’avanzata della destra di Hans-Christian Strache - ha colto perfettamente la natura del problema, la sua portata e i suoi possibili sviluppi.

Sviluppi che non dipenderanno tanto dalla volontà delle parti in causa, a Nord e a Sud del confine, quando da circostanze che sfuggono al loro controllo. La barriera è stata voluta per fermare una eventuale ondata di profughi provenienti dall’Italia, nel momento in cui il Canale di Sicilia tornasse a essere una rotta privilegiata di approdo all’Europa e nell’eventualità in cui l’Italia non si dimostrasse in grado - o non avesse la volontà - di fermare i profughi prima del confine.

Finora l’Italia è stata da una parte vittima dell’iniquità del trattato di Dublino - i profughi devono chiedere ed eventualmente ottenere asilo politico nel primo paese in cui approdano - ma ha sempre disatteso il trattato lasciando che gli stessi profughi sciamassero verso il Nord Europa, complice una crisi economica che non rende l’Italia una meta attraente. Una situazione ingarbugliata, che vede quindi l’Austria rivendicare ragioni in punta di diritto - “facciamo quello che gli Italiani sarebbero tenuti a fare” - mentre l’Italia si appella all’oggettiva insostenibilità di un trattato che scaricherebbe solo sugli Stati di frontiera l’onere di gestire una crisi migratoria senza precedenti e di accollarsene il costo economico, sociale e politico.

Cosa succederebbe, quindi, se tra un mese ci dovessimo trovare con la frontiera verso l’Austria invasa da profughi - abbiamo visto i precedenti a Ventimiglia la scorsa estate - e bloccata dall’intransigenza di Vienna? Se la scommessa di Faymann è quella di forzare l’Italia a intervenire prima che i migranti giungano al Brennero, evitando imbarazzanti riedizioni della battaglia di Idomeni nel cuore civile dell’Europa, accanto ai camper e alle roulotte in transito verso il Sole e le spiagge della penisola, o quantomeno di scavalcare indenne le elezioni presidenziali del 24 aprile, potrebbe essere una scommessa azzardata: oltre al flusso, difficilmente controllabile, proveniente dalla Libia, l’Italia potrebbe trovarsi a fronteggiare anche una nuova ondata di profughi siriani dall’Albania, attraverso il Canale d’Otranto, se la situazione al confine tra Grecia e Macedonia non troverà evoluzioni positive - ed è molto improbabile che ciò accada. D’altro canto, l’esito delle elezioni presidenziali è tutt’altro che scontato, e non è da escludere che lo scenario politico austriaco subisca una sterzata tanto brusca da rendere impraticabile l’eventuale proposito di Faymann di tornare a più miti consigli a urne chiuse.

In una situazione di tensione come quella attuale, è difficile credere che la sospensione unilaterale, anche se temporanea, dei trattati che garantiscono la libera circolazione delle persone all’interno dell’UE, con i costi di questa iniziativa che verrebbero scaricati interamente sul paese più periferico, non possa tradursi in un’escalation di ritorsioni che investirebbero anche la libera circolazione delle merci. Di gente disposta a fare le barricate al Brennero per bloccare i camion provenienti dal Nord Europa ne abbiamo anche “in tempo di pace”, figuriamoci in una situazione del genere. L’idea che sia possibile rinunciare temporaneamente alla libertà di circolazione, in un contesto di tensioni reali alle frontiere interne, senza che questo metta in moto un meccanismo di azioni e reazioni che finirebbe per investire l’intera impalcatura del mercato comune rischia di diventare una sorta di wishful thinking simile a quello che ha inchiodato per almeno tre anni l’Europa attorno all’illusione che fosse possibile un’uscita “ordinata” dall’Euro.

Una pia illusione, come si usa dire, soprattutto per chi da questo lato del confine continua ad agitare lo spettro dello straniero alle porte, che sia un rifugiato siriano o una tanica di minaccioso olio tunisino, e a pretendere che dalla fine di Schengen - e via via di tutto il resto - avremmo qualcosa da guadagnare e non tutto da perdere. Cosa saranno mai, d’altronde, qualche ora di fila per passare il confine, per la vecchia Balilla che avanza con la famiglia Brambilla in vacanza? Ci siamo passati tutti, e non è mai morto nessuno, e nessuno è morto neanche per comprare beni equivalenti a prezzi maggiorati dai dazi alle importazioni: si compri italiano! Sigarette nazionali e automobili nazionali, come quando anche i pezzi di ricambio della Renault 4 erano difficili da trovare, e costavano più di quelli di una 127.

Rimarranno le nigeriane sulla tangenziale, ché dal Brennero le rimandano indietro, ma quelle siamo disposte anche a tollerarle, almeno nottetempo. E poi, per ogni problema potremo sempre tornare a contare sulla stampante magica di Via Nazionale, per l'occasione nuovamente al servizio del Ministero del Tesoro e del popolo sovrano: più lire per tutti, per le staffette generazionali e per i crediti deteriorati delle banche-che-non-parlano-inglese, per la scala mobile e per i bot che torneranno a rendere quanto un derivato, per la Cassa del Mezzogiorno (o come la vorremo chiamare) e per le pensioni di invalidità che non si negano a nessuno, per i salari accessori e per gli scatti d'anzianità.

Lo dicevamo quando si parlava di uscita dall’Euro, lo diciamo oggi per la fine di Schengen: attenti a quello che desiderate, potrebbe avverarsi.

@giordanomasini