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Di recente Tito Boeri, presidente dell'INPS, ha rilasciato un'intervista al quotidiano Il Mattino nella quale conferma l'idea che circola da diverso tempo, ovvero la volontà di introdurre un reddito minimo garantito per gli over 55 che hanno perso il lavoro:

«L’Inps per contrastare la povertà ha proposto al governo di introdurre in Italia un sistema di reddito minimo garantito che abbiamo chiamato “sostegno di inclusione attiva” per le persone che hanno più di 55 anni e per le loro famiglie. Siamo voluti partire da questo gruppo di età intanto perché volevamo restare nell’ambito delle competenze e delle possibilità dell’Istituto e poi perché la fascia al di sopra dei 55 anni ha registrato il maggiore incremento nell’incidenza della povertà»

Le parole di Boeri confermano l’intenzione dell'INPS di rimanere nel solco tracciato dal governo, ovvero quello della redistribuzione del reddito e contribuiscono al dibattito di politica economica sul reddito minimo e di cittadinanza introdotto già da qualche anno dal Movimento 5 Stelle.

Il reddito minimo garantito (RMG), come scriveva tempo fa lo stesso Boeri, è "un programma universale e selettivo al tempo stesso, nel senso che è basato su regole uguali per tutti (non limitato ad alcune categorie di lavoratori come nella tradizione italiana), che subordinano la concessione del sussidio ad accertamenti su reddito e patrimonio di chi lo domanda", e differisce dal reddito di cittadinanza che invece è "un programma di contrasto alla povertà di tipo universalistico in cui la concessione del sussidio non è subordinata a un accertamento delle condizioni economiche e patrimoniali dell’individuo".

Tracciate queste linee teoriche di base, cerchiamo di rispondere alla domanda: perché limitare il RMG alla sola categoria degli over 55? E' la stesso quesito posto da alcuni deputati durante l'audizione alla Commissione Affari Sociali della Camera del 19 maggio scorso. Boeri, esattamente come nell'intervista al Mattino, ha risposto che la proposta allo studio dovrebbe autofinanziarsi senza dunque andare ad incidere negativamente sul già provato bilancio dell'INPS:

«Gli onorevoli Lenzi, Nicchi e Baruffi chiedevano perché solo la fascia di età tra i 55 e i 65, quando abbiamo problemi molto seri anche al di sotto. Ne sono personalmente consapevole per essermi occupato in passato moltissimo del problema della povertà giovanile e della povertà minorile. Lo spirito delle proposte che noi formuleremo è quello di essere proposte che possano essere messe in pratica immediatamente, con le sole forze ed energie di cui l’Istituto che presiedo dispone e con la strumentazione legislativa che verrà formulata»

Poiché al momento Boeri non intende svelare i numeri dell'operazione ("non posso entrare nello specifico delle cifre per doveri di riservatezza" dice al Mattino), l’affermazione sulla sostenibilità è impossibile da verificare. Essendo uomini di buonafede ci sforziamo di fidarci. Riguardo alla povertà il rapporto ISTAT sulla povertà in Italia 2014 riporta che l’incidenza della povertà assoluta per la fascia 55-64 anni è del 4,5% (contro il 4,8% del 2013), mentre per gli over 65 è del 4,7% (contro il 5,3%). Complessivamente per gli over 55 la povertà assoluta è diminuita dunque dello 0,9%. Se guardiamo ai giovani, la povertà assoluta ha raggiunto l'8,3% (+1,6% rispetto al 2013) per gli individui con età inferiore ai 34 anni.

Parlando di povertà relativa nella fascia 55-64 anni la percentuale è dell'8% (-0,5% vs. 2013) e per gli over 65 il 9,3% (-0,3% vs. 2013). Viceversa tra i giovani (<34 anni) la percentuale ha visto un incremento del 2,6%, passando dal 11,7% al 14,3%.

Da questi dati emerge che la situazione della povertà in Italia è in netto peggioramento nei soggetti giovani rispetto a quelli più anziani. Senza considerare il fatto che probabilmente il RMG andrà ad impattare i soggetti della fascia 55-64, visto che dopo quell’età si matura il diritto alla quiescenza, dunque sarebbe più corretto per la nostra analisi considerare solo il dato relativo a quella fascia d’età. Entrando nel merito dei dettagli sul mercato del lavoro, i dati risultano ancora più sorprendenti. Prendendo in esame il numero assoluto di occupati/disoccupati e il tasso di occupazione/disoccupazione per le fasce 15-24, 25-34 e 55-64 anni, nel periodo considerato (2004 - T1 2015) emerge quanto segue:

il numero degli occupati 55-64 anni è cresciuto in misura assoluta di quasi 1,5 milioni di unità, mentre quello dei disoccupati di 0,13 milioni

occupati disoccupati 55 64

il tasso di occupazione dei 55-64enni è cresciuto del 16,93% (da 30,55% al 47,48%) a fronte di una diminuzione del tasso generale (-2,96%), dei 15-24enni (-13,09%) e dei 25-34enni (-11,09%). Il tasso di occupazione dei 55-64 è superiore al dato generale (47,48% vs 42,55%)

tasso di occupazione 2

 

delta occupazione

il tasso di disoccupazione è cresciuto per tutte le fasce d'età, ma in maniera sensibilmente più alta tra i giovani: +21,39% tra i 15-24, +9,14% tra i 25-34, appena +1,64% tra i 55-64 (contro una crescita del tasso generale del 4,97%)

tasso di disoccupazione

 

delta disoccupazione

Ho già avuto modo di riportare le mie riflessioni sull'argomento, che volentieri ripeto, e anche Thomas Manfredi ha espresso su Strade analoghe perplessita : il mercato del lavoro in quest'ultimo decennio ha preferito "tenere in pancia" i lavoratori esperti, scommettendo su esperienza, know-how e capacità acquisite, ed evitando di investire in formazione e sviluppo. Viceversa, è palese la difficoltà dei più giovani a trovare un'occupazione, e ciò evidenzia il fallimento totale delle politiche attive del lavoro riguardo all'occupazione giovanile.

E la favola che i vecchi rubano il lavoro ai giovani? Nei paesi OCSE un alto tasso di occupazione per i lavoratori anziani (anche superiore al 70%!) coincide spesso con un alto tasso di occupazione giovanile, dimostrando una correlazione positiva tra questi due fattori. Correlazione inversa per quanto riguarda il mercato del lavoro italiano, che dimostra in tal senso di essere anomalo rispetto a quello degli altri paesi industrializzati.
La scelta di Boeri non può dunque non lasciare perplessi.

Perplessità sui numeri: finché non verrà svelata l'entità di tali misure non si potrà valutare il suo impatto economico. Perplessità sull'eziologia del provvedimento, considerate le riflessioni legate alle dinamiche dell'occupazione relativa alle varie fasce d'età. Perplessità sulle conseguenze: il reddito minimo garantito influirà sul desiderio da parte degli over 55 di trovare una nuova occupazione oppure li scoraggerà trasformando il provvedimento in un vero e proprio prepensionamento? Da questo punto di vista sarebbe opportuno affiancare al reddito minimo un meccanismo di ricollocazione, che condizionerebbe l'erogazione del sussidio alla disponibilità da parte del beneficiario di accettare future offerte di lavoro.

Perplessità sulla necessità sociale: introdurre una misura del genere non introdurrebbe forse un forte squilibrio a favore di una categoria e a discapito di un’altra, rischiando di acuire un conflitto generazionale già aspro? Gli estremi per un dibattito sull'argomento ci sono tutti. Sarebbe opportuno che sul tema il presidente dell'INPS chiarisca tutti i dubbi e soprattutto che il governo garantisca nel contempo di concentrare i suoi sforzi per risanare la piaga della disoccupazione giovanile.