Renzi partita cuore

Partiamo da un presupposto: la storia fiscale della Repubblica Italiana, negli ultimi venti anni, è stata drammatica. Le tasse sono costantemente aumentate e le sparute riduzione di una imposta o una tassa si sono spesso trasformate in aumenti impliciti o espliciti di altre tasse o imposte.

A un premier che usava dire “meno tasse per tutti” gli italiani hanno prima creduto e poi voluto credere, perché i suoi avversari di sinistra dicevano addirittura “più tasse”, ma quelle promesse sempre disattese hanno trasformato la questione fiscale italiana in una farsa. La quale si è poi fatta tragedia quando, per evitare il default del debito sovrano dopo anni di riforme mancate e di spesa allegra, un governo tecnico ha dovuto imporre agli italiani una pesante e dolorosa patrimoniale immobiliare.

Vincere la diffidenza degli italiani per chi annuncia il taglio delle tasse, insomma, è diventata impresa ardua. Servono credibilità e numeri precisi, occorre chiarezza, tanto più nel contesto europeo in cui ci muoviamo. O pensiamo che alla Grecia si possa chiedere conto delle virgole, mentre noi possiamo cavarcela dicendo che il taglio delle tasse si può autofinanziare? Può permetterselo Matteo Salvini, che populisticamente non si pone il problema del governo, ma non può farlo Matteo Renzi, a cui è richiesta una dose molto maggiore di concretezza.

Noi di Strade non ci iscriveremo nella schiera dei “cagadubbi” o dei contrari a prescindere, perché la riduzione del carico fiscale è una questione di libertà, di efficienza e di modernizzazione dell’economia e della società italiana. Sinceramente che sia il segretario del Partito Democratico a parlare la lingua del taglio delle tasse rappresenta per noi un sollievo. A Renzi riconosciamo di aver già intrapreso, con l’abbattimento del costo del lavoro dalla base imponibile Irap, un percorso inedito di alleggerimento fiscale. Siamo perciò disposti ad accantonare i nostri dubbi sul fatto che abbia voluto riesumare per l’ennesima volta lo slogan sempreverde del “via le tasse sulle prima casa”, anche perché dopo i tanti pasticci recenti davvero la tassazione sugli immobili merita un riordino chiaro e definitivo.

Siamo però tra coloro che al governo e al premier chiedono chiarezza e sincerità. Tocca a Renzi e Padoan dirci, con dovizia di particolari, come intendono realizzare l’ambiziosa annunciata rivoluzione da 50 miliardi di euro di tagli fiscali, sapendo che esistono almeno tre possibili condotte: uno, la linea “Cottarelli-Merkel”, meno spesa per meno tasse, una linea sana, virtuosa, responsabile e sostenibile, ma difficile e coraggiosa; due, la linea “antagonista”, di chi chiede al governo (ad esempio Enrico Rossi governatore Toscana, venerdì sulle pagine del Foglio) di sforare i parametri europei, con buona pace dei nostri partner continentali; tre, la linea "tre carte", le tasse ridotte con maquillage contabili, tagli lineari che producono poi debito commerciale delle PA, scaricamento sugli enti locali che poi alzano tributi e così via.

Noi chiediamo a Renzi e al governo di seguire la prima opzione. Illudersi di poter finanziare a deficit la riduzione fiscale significa non aver presente la spada di Damocle che pende sulla testa dell’Italia: noi non possiamo permetterci altro debito, i mercati reagirebbero con un rialzo brusco dei tassi d’interesse sui nostri titoli, l’effetto benefico del taglio delle tasse verrebbe più che assorbito dalla maggiore spesa per interessi, spingendo il nostro bilancio pubblico alla deriva. Insomma, meno spesa per meno tasse, meno tasse per meno spesa.

È questa la sfida di cui abbiamo bisogno, quella per cui rottamare decenni di cattiva politica a volte assistenzialista e furbetta, altre rinunciataria e inconcludente. Bisogna, però, convincere gli italiani.