Marattin mattoni

Quella del Covid-19 è solo l’ultima crisi che avrà influssi rilevanti sulla vita e il destino delle città e dei territori in cui viviamo. Già la crisi economica che si è sviluppata a partire dal 2007-08 aveva evidenziato un gap sempre più evidente fra ruolo degli strumenti di gestione del territorio e dinamiche reali di trasformazione.

Oggi ci interroghiamo profondamente: ci si deve preparare, a livello nazionale e locale, ad altri modelli socio-economici o tutto tornerà come prima? Si potrà tornare alla “normalità” che abbiamo conosciuto? Come reagiranno i vari territori? Si allargheranno disuguaglianze? Alcune aree sapranno reagire meglio di altre, gli ambiti marginali ne usciranno ancora più deboli? Quali nuovi equilibri geopolitici internazionali? L’Unione europea e altre istituzioni sovranazionali dovranno cambiare radicalmente per non perire, in quali direzioni andare?

Con processi di globalizzazione sempre più spinti e eventi emergenziali che investono sistemi istituzionali e politici, il rischio più grande sta nel fatto che il governo del territorio sia costantemente in ritardo e non sia in grado di prevedere scenari sempre più complessi e imprevedibili. I rapporti tra strumenti di regolazione d’uso del suolo e programmazione economica a scala locale risulta sempre più difficile, se non conflittuale, le crisi evidenziano molte nostre incapacità nel pre-configurare il futuro, anche a breve periodo e perfino il carattere scarsamente razionale di operazioni di questo tipo che in breve periodo appaiono vecchie e superate.

Il carattere proprio di un’operazione di pianificazione consiste nel voler determinare i comportamenti futuri di una pluralità di soggetti, ma le crisi evidenziano una inadeguatezza delle conoscenze utilizzate per la definizione di molte politiche di intervento emergenziali. In termini generali questa problematica tende a coincidere con quella del ruolo, del senso e della legittimità di un intervento pubblico eccessivamente rigido e programmatorio nel lungo periodo.

Per valorizzare e permettere il dispiegarsi di nuove energie ai fini dello sviluppo delle dotazioni di risorse ancora esistenti nei diversi ambiti territoriali, occorrerebbe valutare se è possibile orientarsi verso un numero di regole minori, ma più stabili nel tempo e più semplici nella formulazione. Nei periodi emergenziali affinché creatività e innovazione si sviluppino c’è bisogno di un sistema semplice di regole di base, così da poter favorire forme di sperimentazione da parte della realtà socio-economica, un sistema di pianificazione eccessivamente rigido e vincolistico può precludere opportunità.

Occorre innanzi tutto dire che lo stato di crisi delle istituzioni pubbliche italiane, viste in particolare in relazione alle trasformazioni territoriali, è tema spesso assente dal cuore del dibattito politico a livello nazionale e nei programmi di quasi tutte le forze politiche e sociali. In secondo luogo occorre chiedersi come superare le forme correnti di pianificazione e regolazione urbanistica ed edilizia e, più in generale, forme di politiche urbane ormai superate dalle nuove domande generate dalle crisi che esigono un approccio diverso e un cambio di paradigmi. Forse il mondo di prima non tornerà più.

Si avverte l’esigenza di superare posizioni ideologiche (sia nel senso di ideologie politiche, sia nel senso di approcci disciplinari) che permangono in molti filoni di riflessione e ricerca (e anche apparati normativi) della pianificazione urbanistica. Piani meno rigidi, ma con regole più stabili e certe, nei quali si esplicitano le condizioni e i criteri attraverso cui valutare l’ammissibilità delle proposte di trasformazione degli usi del suolo e dei diversi progetti che vengono presentati, potrebbero accelerare le trasformazioni di aree che rischiano di rimanere inutilizzate per lungo tempo.

In generale si può dire che le crisi fanno emergere una nuova domanda di governo del territorio e una possibile transizione verso modelli di sviluppo diversi rispetto a quelli fino ad ora seguiti.