pastorisardi

La protesta dei pastori sardi, che hanno visto il prezzo all’origine del latte di pecora calare drasticamente in pochi mesi, arrivando a livelli che non riescono a compensare i costi di produzione, ha al tempo stesso alcune molte buone ragioni e alcune cattive soluzioni. La vicinanza delle elezioni regionali in Sardegna non aiuta la ricerca di soluzioni realistiche per un problema complesso, spianando la strada a semplificazioni propagandistiche come quella, molto pericolosa, proposta via twitter dal Ministro dell’Interno (ma anche ad interim delle politiche agricole, evidentemente, come di tutto il resto) Matteo Salvini, che ha proposto sostanzialmente un prezzo minimo garantito per il latte di pecora, indicato dalla filiera e salvaguardato da sovvenzioni di Stato.

C’è una premessa necessaria da fare: quello agricolo è un settore che per molte ragioni non è strutturalmente in grado di assorbire in tempi adeguati le fluttuazioni del mercato, e questo rende le aziende particolarmente vulnerabili. Le infinite variabili geografiche, climatiche, di tipologia dei terreni, così come i valori del principale strumento di produzione, la terra coltivabile, rispetto alla disponibilità economica della maggior parte degli agricoltori, fanno sì che i modelli produttivi vincenti non siano riproducibili ovunque, che sia facilissimo finire “fuori mercato” mentre recuperare livelli di produttività accettabili sia un’impresa impossibile.

Questa vulnerabilità rende legittimi, per il settore agricolo, interventi compensativi che permettano alle varie filiere di sostenere le fluttuazioni di prezzo più violente senza che queste provochino fallimenti a catena, e che non sarebbero immaginabili per altri settori produttivi. Seppure molti di questi strumenti - a cominciare da quelli previsti dalla Politica Agricola Comune (PAC) nelle sue tante trasformazioni degli scorsi decenni - siano oggettivamente distorsivi, e siano oggettivamente concepiti e usati più che altro come strumenti di banale sostegno al reddito e di conservazione dello status quo, il problema di fondo resta reale e concreto, e spesso emerge in situazioni drammatiche come quella dei pastori sardi.

Per comprendere quello che sta accadendo in Sardegna bisogna cercare di andare oltre la superficie, indagando le dinamiche che orientano i prezzi e determinano situazioni oggettivamente insostenibili per una parte della filiera, quella degli allevatori, tradizionalmente più debole e “disgregata”.

Il latte è una materia prima, come il petrolio. I produttori di petrolio - come quelli delle altre materie prime - reagiscono alle oscillazioni di prezzo intervenendo sulla produzione: se il prezzo è troppo basso calano l’offerta, che viene riportata a livelli più alti solo quando i prezzi tornano a essere adeguati. Gli allevatori e gli agricoltori non sono in grado di comportarsi allo stesso modo per una ragione facilmente intuibile: sono tantissimi, molti di più delle loro controparti industriali e commerciali, e determinare scelte produttive simultanee per una vastissima platea di produttori, che dovrebbero muoversi come un unico attore sul mercato, non è affatto facile.

A questo elemento di debolezza se ne aggiunge un altro, autoinflitto, che è molto più italiano (sardo, in questo caso). Sono i consorzi di tutela del pecorino sardo e del pecorino romano gli “agenti” in grado di reagire alle oscillazioni di prezzo intervenendo sulla capacità produttiva e sulle scorte, ma questi riproducono al loro interno la stessa asimmetria della filiera, dato che comprendono sia allevatori che trasformatori, e perseguono la tutela sul mercato del prodotto finito, non quello dei produttori di materia prima.

Le oscillazioni sul mercato del prezzo del latte e del pecorino rappresentano questa schizofrenia: a fasi espansive che incentivano la produzione, seguono contrazioni nelle vendite che si scaricano direttamente sul prezzo del latte corrisposto agli allevatori, il tutto all’interno di consorzi che invece potrebbero agire con interventi correttivi, prevedendo con ragionevole approssimazione gli andamenti del mercato, a protezione di tutte le parti della filiera.

La soluzione invocata da Salvini, anche spurgata dal prezzo minimo garantito che sarebbe completamente fuorilegge, avrebbe lo stesso limite. La Commissione Unica Nazionale (CUN) è uno strumento che può essere attivato su richiesta della filiera produttiva, e avrebbe il potere di eliminare i rilevamenti delle borse merci provinciali in favore di un prezzo indicativo determinato a livello nazionale. Alcune Commissioni Uniche Nazionali sono già attive, soprattutto nel settore suinicolo. Ma questo prezzo, frutto della contrattazione degli attori della filiera, sarebbe solo indicativo, in nessun caso imposto per legge. Quindi sarebbe per forza di cose un prezzo che tiene conto degli andamenti reali del mercato, perché regga alla prova delle compravendite reali. Potrebbe avere degli effetti compensativi, ma sempre all’interno di una dinamica verticale di filiera in cui l’asimmetria tra produttori e trasformatori verrebbe riprodotta uguale a se stessa.

Un altro limite, per un prodotto come il latte di pecora con quotazioni locali diverse tra loro, e destinato alla produzione di formaggi a forte tipizzazione regionale, è che il prezzo indicato dovrebbe essere valido su tutto il territorio nazionale. Oggi (dati ISMEA) il latte di pecora viene pagato 60 euro ad ettolitro in Sardegna e 85 in Toscana. Non è così facile prevedere un prezzo unico buono per tutti.

In ogni caso, questo deve essere chiaro, la Commissione Unica Nazionale, qualora venisse attivata, non potrebbe in alcun modo imporre un prezzo garantito, né sovvenzioni pubbliche per determinarlo. Le soluzioni autarchiche e neo-corporative - tra le quali si può annoverare anche l'obbligo di indicare l'origine del latte sui prodotti caseari, che dopo essere stato presentato come la panacea di tutti i mali non ha prodotto alcun vantaggio competitivo per gli allevatori italiani - sono, per quanto in voga, un rimedio più costoso del male. 

Al di là di alcune soluzioni compensative di breve periodo, che possono essere attivate nel rispetto delle norme nazionali ed europee, la vicenda del latte sardo ripropone il tema della debolezza strutturale del comparto agricolo e zootecnico italiano.