Una proposta di legge che ha fatto parlare tutto il mondo, quella uruguayana. Che ha consacrato l’Uruguay come esempio latinoamericano di un Paese in cui le libertà civili e la tolleranza sono decisamente superiori alla media regionale. Con il progetto di legalizzazione della marijuana, promosso dal governo e applaudito da destra a sinistra (poche e isolate opinioni contrarie nell’arena politica) l’attenzione mediatica mondiale si è improvvisamente concentrata su questo piccolo stato alla fine del mondo.

uruguay

Un iter legislativo tra i più gloriosi: il sì alla Camera è arrivato il 31 luglio scorso con 50 voti favorevoli e 46 contrari. Il Senato dovrebbe votare la proposta di legge prima della fine dell’anno e non sembra ci saranno ostacoli, visto che la maggioranza, rappresentata dal partito di governo (quel Frente Amplio del “presidente più povero del mondo”) si schiererà compatta a favore. Nonostante le preoccupazioni dell’ONU, l’incompatibilità con la Convenzione Unica sugli Stupefacenti del 1961, l’obiezione ferma del Brasile. E soprattutto, nonostante il parere contrario del 61% degli uruguayos. Si va avanti lo stesso, guidati dall’intima convinzione che sia la via seguita dall’Olanda negli anni Settanta, quella da prendere per contrastare la diffusione delle droghe economiche e devastanti come la pasta base, popolarissima tra i giovani delle classi più umili.

Assidui consumatori di porros (secondo le cifre ufficiali sarebbero almeno 20.000, su una popolazione di poco più di tre milioni, a fumare quotidianamente) gli uruguayos potranno ora contare su un prodotto certificato. Made in Uruguay. Controllato dallo stato. Che si riserva il diritto esclusivo (il monopolio per intenderci) di “regolazione e controllo di tutta la catena: produzione raccolto…” E garantirà pure dei prezzi fissi. Un dollaro per farsi tre spinelli leggeri. Una quantità mensile pro capite di 40 grammi. Con 40 dollari al mese ci si garantisce la felicità. Alimentando le casse dello stato.

Le canne saranno reperibili in farmacia per tutti i maggiorenni che si iscriveranno in specifiche liste (presso l’Instituto de Regulación y Control del Cannabis). L’anonimato, dicono gli addetti ai lavori, è assicurato. Certo, non mancherà l’alternativa della coltivazione in casa (per un massimo di 6 piante a testa) o i club per i consumatori, di 45 soci al massimo. A partire dal giugno del 2014 anche il Cono Sud dunque, avrà la sua Amsterdam. Sarà un mese che non passerà alla storia solo per il Mondiale brasiliano, se quest’iniziativa avrà l’esito sperato, potete starne certi.

Nel Paese in cui i monopoli di stato sono la normalità ce ne sarà uno nuovo di zecca, un gioiellino mascherato da iniziativa avanguardista. Proprio dove si fa la guerra a Philip Morris e agli effetti nocivi del tabacco; dove ogni multinazionale che produca sigarette può vendere solo un prodotto della stessa marca, si potranno comprare le canne in farmacia. Qui il tabacco fa male, la marijuana no. Anzi, questa iniziativa sembra quasi eliminarne la percezione negativa, la marijuana smette di essere uno spauracchio per diventare uno degli strumenti per lo sviluppo di un monopolio che potrà fruttare enormi guadagni. E che secondo alcuni potrebbe fare da apripista alla coltivazione della canapa su scala industriale, tanto che Monsanto ha dovuto smentire le voci che le attribuivano un ruolo nel sostegno dell'inziativa, mentre secondo George Soros il Paisito, come lo chiamano gli altri giganti sudamericani, sarebbe un vero e proprio laboratorio di un modello da ripetere altrove.

Un business miliardario che fa gola a tanti imprenditori quello della canapa, e che garantirebbe entrate sicure alla macchina statale. A quale prezzo? Questo resta da capire. Per ora, al marchio Paese, l’”Uruguay Natural”, si pensa di associare la marijuana bio. Senza additivi chimici. In Parlamento si dibatte sugli ettari da adibire alla coltivazione della marijuana. Secondo le cifre fornite dalla Junta Nacional de Drogas, poche decine di ettari sarebbero sufficienti per soddisfare il fabbisogno nazionale. Non si dovrebbe più importare dal Paraguay, che al momento è il mercato di rifermento.

E se i consumatori dovessero aumentare? Se quei 120.000 che hanno avuto il coraggio di dichiarare di consumare marijuana almeno una volta l’anno non fossero che una piccola parte dei consumatori reali, com’è ovvio che sia? Si procederà ad appalti accontentare tutti? Lo stato saprà davvero incontrare il limite tra la produzione a fini sociali e quella a scopo di lucro? E soprattutto, arriverà il momento in cui, data l’incapacità di soddisfare la domanda, si procederà ad una sana liberalizzazione o in nome della lotta contro il narcotraffico si preferirà salvaguardare un monopolio dai profili e dagli obiettivi alquanto dubbi?