Finchè c'è Berlusconi, nessuna riforma sulla giustizia. Uno spot per il Cav.
Editoriale
La bocciatura preventiva, mediante la soppressione dell'art. 1, del disegno di leggi Buemi e altri in materia di responsabilità civile dei magistrati chiude politicamente per questa legislatura - e chissà per quanto altro tempo - la questione della riforma della cosiddetta "legge Vassalli", che diede attuazione all'esito del referendum del 1987, rendendo però di fatto impraticabile il diritto a richiedere il risarcimento di un danno ingiusto subito "per effetto di un comportamento, di un atto o di un provvedimento giudiziario posto in essere dal magistrato con dolo o colpa grave nell'esercizio delle sue funzioni, ovvero per diniego di giustizia."
L'emendamento soppressivo proposto dal M5S e votato da PD e SeL ha una giustificazione formale e "giuridicamente corretta" ben lontana dalla sua ragione sostanziale e politicamente sbagliata. In questo modo - è la tesi - si è solo voluta stoppare l'ipotesi, decisamente minoritaria anche tra chi ritiene inderogabile una riforma della legge Vassalli, di un'azione diretta nei confronti del magistrato. In realtà, si è scelto di interrompere di fatto l'esame del provvedimento, precludendo l'esame di quegli emendamenti - di molti gruppi, PD compreso - che disciplinavano la materia tenendo fermo il principio dell'azione indiretta (contro lo Stato, tenuto poi a rivalersi sul magistrato responsabile), ma rendendo accessibile un diritto che oggi, manifestamente, non lo è.
A spiegare la vera ragione dello stop è stato sinceramente lo stesso premier Renzi che ha affermato che "finché i toni saranno da derby ideologico e da campagna elettorale e finché ci sarà chi dice che la magistratura è un cancro, non ci potrà essere nessun intervento sulla giustizia". Il Presidente del Consiglio è perfettamente consonante con la logica "eccezionalistica", che in Italia regola i rapporti tra giustizia e politica e legittima le anomalie della giustizia per lo stato di necessità legato al sovrabbondare dell'ingiustizia.
Non si possono fare riforme troppo giuste, finché la realtà rimane troppo sbagliata - questo l'assioma dei "parrucconi", cui il premier si adegua. Un diritto deformato - sul piano processuale e sostanziale e in generale su quello delle cosiddette "garanzie" - aderisce infatti più precisamente a una realtà deformata da un sovrappiù di illegalità e dall'assenza di veri contrappesi sociali al dilagare dei poteri criminali o, appena più in basso, di forze politicamente pericolose e culturalmente eversive. Un giusto processo che limitasse l'efficacia dell'azione di contrasto alla criminalità organizzata (o terroristica o economica...) sarebbe quindi sbagliato. Una legge giusta che servisse le ragioni ingiuste di Berlusconi e desse loro implicitamente ragione, sarebbe dunque altrettanto sbagliata.
Il problema è che anche Berlusconi rivendica la "necessità democratica" di un garantismo à la carte e per vent'anni, con scarsa fortuna sul piano degli esiti, ma con ragguardevoli consensi, ha cercato di imporre una eccezionalistica uguale e contraria a quella dei suoi avversari. La tesi per cui finché c'è Berlusconi non si può riformare, cioè di fatto istituire, la responsabilità civile dei magistrati è dunque di supporto alla tesi, tuttora molto popolare, per cui finché c'è questa magistratura e questa giustizia non si può che votare Berlusconi. È uno spot per il Cav., in una discussione che evidentemente non riesce a cambiare verso.