Il "nuovo" centro-destra (che non c'è) e il fantasma di Monti
Editoriale
Alle prossime elezioni europee il centro-destra italiano si presenterà, per la prima volta dopo vent'anni, diviso e non unito dalla leadership berlusconiana. Attorno a FI, non c'è più una compagine di partiti convergenti e rappresentati, di fatto, dal partito maggiore e dal suo leader, ma una pluralità di soggetti diversi e divergenti, che si sono tutti, in un modo o nell'altro – Forza Italia compresa – congedati dallo schema unitario.
A far prevalere le spinte centrifughe su quelle centripete è ovviamente il tramonto del Cav. come possibile leader di governo e quindi come oggettivo "centro gravitazionale" della coalizione. Tutti cercano quindi spazio e ruolo a prescindere dagli altri e provano a ritagliare nel campo rimpicciolito del centro-destra le ragioni e le forme della propria autonomia. Il bipolarismo destra-sinistra è stato peraltro soppiantato da un bipolarismo politica-antipolitica e, sul versante in senso stretto politico, da una sorta di "monopolarismo" renziano, anche al di là delle dimensioni reali del consenso del PD, che i sondaggi non stimano molto oltre la soglia – il 33% - raggiunta da Veltroni nel 2008, quando venne letteralmente travolto dal Cav.. Nondimeno non c'è partito del fu centro-destra unitario che non si muova essenzialmente in rapporto a Renzi – o con lui, o contro di lui, o insieme con lui e contro di lui, come prova a fare con scarsa fortuna FI – e non ne riconosca di fatto l'imprescindibile centralità politica.
La Lega e FdI cercano di saldarsi da destra alla protesta nazionalista e antieuropea che dilaga nel continente e che in Italia ha trovato un'anomala, ma non così paradossale, declinazione vincente da sinistra, con il M5S. Forza Italia rinnova le mitologie del berlusconismo di lotta, provando a inseguire con l'immagine sempiterna del Berlusconi "uomo contro" quel dilagante "voto contro", che ci si attende nelle urne il prossimo 25 maggio. Il NCD, che sembra drenare più parlamentari, che elettori delusi dall'estremismo solitario y final di Forza italia, paga l'evidente ambiguità di una rottura con il Cav. reale in nome del (mai esistito) Cav. ideale e di un berlusconismo diverso da quello di Berlusconi. Il partito di Alfano così non può né pescare tra gli elettori del fu centro-destra che da Berlusconi, ben prima di Alfano, si sono allontanati, né tra quelli che gli sono rimasti appiccicati e non ne tollerano il tradimento.
Dal punto di vista politico, non c'è però forza del fu centro-destra che metta seriamente in discussione le ragioni che hanno portato al rovinoso fallimento della più lunga e incontrastata storia di potere della democrazia italiana e che indaghi la relazione fatale tra la potenza del consenso berlusconiano e l'impotenza della sua azione di governo e l'obiettiva coincidenza tra la stagione dei successi del Cav e quella degli insuccessi e del declino italiano. Finché questa discussione rimarrà tabù, il "nuovo" centro-destra non nascerà e il "vecchio" continuerà a scomporsi e ricomporsi, fino a dissolversi.
Da un certo punto di vista, si comprende la prudenza di Alfano. Gli unici che, in modo diverso, hanno in tempi recenti provato a mettere al centro della discussione pubblica questo tema, decisivo per le sorti del centro-destra del futuro, ne sono usciti letteralmente schiantati. È evidente che il fantasma di Fini e di Monti – e innanzitutto del secondo, che era il più credibile rappresentante di un centro-destra "normale" e il più indisponibile a transigere su letture auto-indulgenti della crisi italiana – continua ad aleggiare sulla testa di quanti vorrebbero ragionare sulle prospettive del centro-destra possibile, emancipandosi dalla vulgata berlusconianamente corretta e da quella sorta di "ideologia del nemico" e di "sindrome dell'assedio" che rimane il crisma del centro-destra "ufficiale".
Peraltro, il berlusconismo, come il berlinguerismo, potrebbe sopravvivere per decenni al suo fondatore e protagonista, continuando a impegnare con la propria profezia i destini della discendenza. È stato un racconto potente, che ha creato un popolo a immagine e somiglianza della storia raccontata e capace, dunque, di compiacersi anche delle sconfitte. È una ragione in più per pensare che mettersi di traverso alla "verità" del fondatore sia più imprudente che provare a scamparne i destini. Tuttavia, intorno a quella "verità" c'è il confine tra il vecchio e il nuovo che nessuno, al momento, sembra volere attraversare.