E se il "problema" della riforma del Senato fosse più "politico" di quanto si crede? Per risparmiare, non basta tagliare il numero di senatori: bisogna scegliere che tipo di Senato vogliamo. Magari un Senato che si occupi del rapporto fra Stato centrale ed Enti locali, come avviene in gran parte dell'Europa occidentale.

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Fra i tanti nodi irrisolti delle riforme, c'è quello del destino del Senato: composizione e funzioni della "nuova" camera alta restano, come sempre del resto, ancora avvolte dal mistero. D'altronde, le proposte circolate a inizio mese non facevano presagire nulla di buono, così come speriamo di poter derubricare presto la proposta di abolizione del Senato a mera "boutade". Il timore è che le proposte concrete continueranno a latitare se non si deciderà di abbandonare la via populista, per cui basta ridurre il numero di parlamentari per far ritrovare, come per magia, la via dell'efficienza al nostro Parlamento. Sebbene questo sia un argomento di forte presa sull'elettorato (e non privo di una sua logica), paradossalmente è anche il meno importante dei problemi che si dovrebbe affrontare in sede di riforma.

In effetti, la prima domanda da porsi è: vale la pena mantenere due Camere? La risposta è sì. Il monocameralismo non è di per sé garanzia di una maggiore produttività parlamentare: viene perlopiù adottato in Paesi piccoli (Cipro, Malta, Danimarca, Lussemburgo) o con densità di popolazione bassa (Svezia, Norvegia), ossia in Paesi in cui, a causa del ridotto corpo elettorale, non c'è solitamente necessità di avere un secondo ramo del Parlamento. Tuttavia, vale anche la pena mantenere due Camere che si occupano delle stesse cose? Ovviamente no. L'esempio migliore è la Danimarca, che nel 1953 decise di passare dal bicameralismo perfetto al monocameralismo, eliminando il Landsting e mantenendo il solo Folketinget. Alcuni Paesi (Svezia, Portogallo) hanno scelto la stessa via, mentre altri hanno scelto di mantenere la seconda camera, perché utile alla natura federale dello Stato (Germania, Austria, Belgio) oppure perché intese a rappresentare le autonomie locali (Spagna, Francia, Paesi Bassi) o le istanze delle singole categorie sociali (Slovenia, Irlanda).

Ammettiamo di non aver detto, finora, nulla di nuovo: che il bicameralismo perfetto debba essere superato, lo ripetono in tanti e da tanto tempo. La domanda che adesso ci dobbiamo porre è: a che cosa dovrà servire, in futuro, il Senato? A garantire una migliore rappresentatività delle istanze del territorio? Oppure delle componenti della società, come gli industriali, i sindacati, le associazioni? Data la "tradizione" che vuole il Senato eletto su base regionale e, soprattutto, il grado di decentramento amministrativo deciso con la riforma costituzionale del 2001, ci sembra quasi ovvio che debba essere privilegiata l'opzione di una maggiore rappresentatività del territorio.

Non è un caso che si sia fatto riferimento alla riforma del 2001 e alla ripartizione delle competenze fra Stato e regioni: in Germania, Austria e Spagna, infatti, la camera alta si occupa proprio dei rapporti fra Stato centrale e collettività regionali. Soprattutto in Germania, il Bundesrat ha la competenza (assieme alla camera bassa, il Bundestag) di approvare tutte quelle leggi che riguardano gli interessi dei Länder. In questo senso, una maggiore rappresentatività del territorio verrebbe giustificata dalla necessità di avere un più stretto rapporto con lo stesso, soprattutto sul piano legislativo. Detto in altri termini, il nuovo Senato potrebbe vedersi assegnate tutte quelle materie per cui la Costituzione prevede una competenza "concorrente" (art. 117, comma 3 Cost.), oltre ovviamente alle leggi costituzionali ed eventualmente a tutte quelle norme che, a vario titolo, riguardano gli interessi delle regioni. Sarebbe, invece, esclusa la possibilità per il Senato di partecipare al voto di fiducia sul Governo, coerentemente con quanto avviene in altri sistemi più "federali" del nostro.

Resta da sciogliere, per il momento, un ultimo nodo: come andrebbe eletto il Senato? In maniera diretta o indiretta? L'elezione di tipo indiretto è quella più comune: in Germania e Austria spetta ai Länder selezionare i senatori, nei Paesi Bassi è pertinenza dei Consigli provinciali, mentre in Francia vengono selezionati da un collegio elettorale su base dipartimentale, composto da esponenti di tutti i livelli politici del dipartimento stesso (dai deputati fino ai delegati dei consigli comunali). L'unica eccezione è la Spagna, dove circa 4/5 dei senatori vengono eletti direttamente dal corpo elettorale (con una sovra-rappresentazione delle province più piccole e meno popolate e, soprattutto, delle isole) e 1/5 viene nominato dalle Comunità autonome. Sebbene come detto l'elezione di tipo indiretto sia la più comune, non siamo convinti che l'Italia possa permettersi di tramutare anche il Senato in un organo a elezione indiretta. Il motivo è presto detto: non siamo tedeschi. Il rischio nel nostro Paese è che il secondo ramo del Parlamento finisca in mano ai "sindacati" delle autonomie locali (ANPI, ANPCI, UPI, eccetera) o, peggio ancora, diventi un metodo di salvare eventuali politici "trombati" in altre tornate elettorali. L'elezione diretta, invece, garantirebbe invece un legame davvero diretto col territorio, sia a livello politico che a livello rappresentativo. Ovviamente, restano ancora due grossi problemi da risolvere: la revisione delle competenze di cui all'art. 117 Cost., in modo tale da ridurre sensibilmente la conflittualità fra Stato e regioni (che in questi 13 anni hanno intasato la Corte Costituzionale di ricorsi), e di tutta quella serie di norme costituzionali che prevedono l'intervento del Parlamento nell'elezione di altri organi costituzionali. Andrebbe, per esempio, abolito il secondo comma dell'art. 83 Cost., che prevede la partecipazione di 58 delegati regionali per l'elezione del Presidente della Repubblica (e che diventerebbero inutili con una riforma del genere).

Come avete potuto notare, abbiamo evitato accuratamente di discettare di numeri: non siamo contrari alla riduzione del numero dei senatori, ma riteniamo che questo elemento dipenda da altre scelte, più generali e importanti. Siamo convinti che la riduzione dei costi del Senato passi prima per una migliore ripartizione delle competenze fra i due rami del Parlamento e solo dopo da una riduzione dei suoi componenti.