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Christophe Guilluy nel suo libro “Les dépossédés” (gli espropriati), uscito nel 2022 ed edito da Champs, mostra come le classi popolari rispondano alla loro sparizione programmata imponendo un’alternativa al modello che li condanna.

Le classi dominanti, nonostante il potere e le ricchezze accumulate, non sono mai sembrate così deboli mentre le classi popolari, emarginate economicamente e culturalmente, non hanno mai spaventato così tanto il potere.

La notte del 7 marzo 1936 il sindacato comunista CGT e il patronato della Confederazione generale della produzione francese, firmarono a Matignon un accordo storico che fisserà la durata del lavoro a 40 ore settimanali, imporrà aumenti salariali, riconoscerà diritti sindacali e le ferie pagate. La vittoria del Fronte Popolare un mese prima aveva creato le condizioni per un miglioramento delle condizioni sociali.

Un altro provvedimento emblematico voluto da Léo Lagrange prevedeva la riduzione del 60% del costo dei biglietti del treno a condizione di percorrere almeno 200 km; una distanza scelta non a caso che permise di aprire le spiagge dell’Atlantico alla classe operaia di Parigi. Riservato fino ad allora ai più ricchi, l’accesso al mare delle masse popolari, rappresentò una svolta culturale e sociale. I luoghi di villeggiatura della borghesia conobbero un boom di presenze popolari che creò una coabitazione forzata. Iniziò il grande turismo popolare di massa che segnò mutamenti profondi dei litorali.

Quasi ottant’anni più tardi, nel 2022, in Corsica, si registrano una serie di attentati che prendono di mira le residenze secondarie dei turisti ricchi. Sui muri appaiono scritte “IFF” (I francesi fuori).

In Corsica una casa su tre è una residenza secondaria il cui proliferare è diventato un argomento sensibile specie per i nazionalisti corsi. L’aumento dei prezzi impedisce ai giovani ed ai più fragili di accedere alla proprietà immobiliare. Questo fenomeno si nota nell’insieme dei litorali francesi e pone una questione di fondo: l’accesso agli alloggi dei giovani e lavoratori viene messo in discussione, così come la possibilità di avere un alloggio dove si lavora e dove si è nati. Il binomio gentrificazione/airbnb, giustificato dalla retorica della “mano invisibile del mercato”, genera frustrazione e risentimento da parte di chi si sente straniero in casa propria.

I diseredati, che sembrano personaggi dei Miserabili di Victor Hugo, si sentono come gli indiani nelle riserve; a poco a poco perdono tutti i loro punti di riferimento; il quartiere, la piazzetta, il bar. Gli alloggi popolari non sono sufficienti a soddisfare questa migrazione massiva.

Le classi superiori si discolpano utilizzando il solito refrain: i ricchi fanno vivere queste regioni grazie all’indotto economico che creano. Questa teoria vale anche per le metropoli e serve a discolpare i più ricchi dall’impatto delle loro scelte. In Francia la gentrificazione ha colpito il 25% della popolazione, un peso demografico che provoca cambiamenti sociologici e politici. I litorali e i centri storici delle grandi metropoli hanno la stessa componente sociologica; classi imprenditoriali, borghesia tradizionale o progressista e pensionati agiati. Paradossalmente questi quartieri sono diventati i bastioni elettorali della sinistra e dell’estrema sinistra, mentre, lontana dai quartieri residenziali e dai litorali, la maggioranza delle classi popolari ingrossa le file dell’astensionismo e dell’estrema destra.
Christophe Guilluy sostiene che qualunque “imbecille” possa guidare una metropoli poiché tutto il potere decisionale é nelle mani di una potenza economica, finanziaria, immobiliare di fronte alla quale la politica può ben poco. Il territorio funziona da solo. La gentrificazione riguarda i centri delle metropoli (residenze principali) e i litorali (residenze secondarie). Per le classi popolari l’acceso al mare diviene sempre più difficile, mentre i centri delle metropoli sono oramai delle cittadelle vietate; le classi popolari sono relegate nelle periferie ghetto e la loro presenza viene progressivamente ridotta in tutti gli spazi, compresi gli stadi di calcio dove la loro presenza viene al massimo tollerata nelle curve degli ultras.

Città gentrificate e periferie degradate. Un sogno!

Lo sviluppo di questo modello urbano elitario e classista è passato in sordina grazie all’adesione della borghesia urbana ai valori della sinistra. Se questa politica fosse stata imposta dalla destra avrebbe generato una violenta reazione sociale. Il peggio del capitalismo, favorito dalla migliore agenzia di comunicazione, la sinistra. Ma vincere Parigi ha significato perdere il popolo. Prigioniera del suo ghetto metropolitano, la sinistra ha perso la sua base sociologica tradizionale, quella della Francia periferica. Dietro l’enfasi comunicativa (città aperta, verde, solidare), il modello metropolitano ha provocato ovunque lo stesso massacro sociale. Sarkozy aveva capito il problema e fece stanziare 5 miliardi di euro per rivitalizzare 200 città periferiche, senza parlare del Grand Paris, un ambizioso piano, di 40 miliardi che permise di migliorare i servizi infrastrutturali della capitale (infatti quest’anno Parigi ospiterà i giochi olimpici) senza dimenticare la periferia.

Ma Sarkozy nel 2012 perse le elezioni e l’immobilismo è tornato protagonista.

La de-industrializzazione, la precarizzazione del lavoro, la terziarizzazione dell’economia che ha avvantaggiato pochi, hanno ampliato la frattura sociale.

I ceti benestanti si lamentano della qualità dell’aria, rendono impossibile l’accesso delle vetture nelle ZTL ed evocano enfaticamente la “fine del mondo”, mentre i ceti più disagiati devono combattere per arrivare alla “fine del mese”. Le persone ordinarie sentono che questo mondo non è per loro e disertano le elezioni, partiti e sindacati e quelli che non disertano le urne sono attratti dall’estrema destra. L’ascensore sociale si è fermato. Il mondo in alto si racchiude nelle sue cittadelle e promuove la società inclusiva, si batte (a parole) per il servizio pubblico e per il modello sociale mentre fa di tutto per smantellarlo.

Proclama l’uguaglianza ma promuove le diseguaglianze; parla di tutto, della fine del mondo, del vivere-insieme, della democrazia, del fascismo, mentre le classi popolari nutrono un crescente disagio e sentimento di odio verso queste raffigurazioni grottesche della realtà. Si denuncia, a giusto titolo, la distruzione ambientale ma si ignora la distruzione sociale della società tradizionale. Le classi dirigenti superiori, sempre pronte a denunciare la catastrofe ecologica che ci minaccia (salvo continuare la metropolizzazione ed un libero scambio mondiale con forti impatti sul clima, come dimostra l’aumento del traffico aereo), esaltano la società multiculturale proteggendosi tuttavia dalla diversità (un modello in cui non credono assolutamente come dimostrano le scelte residenziali e scolastiche per i propri figli). L’ordine sociale viene garantito dalle distanze; le classi popolari non sono dei nemici ma degli emarginati.

Come siamo lontani da quella borghesia illuminata che aveva forgiato una società coerente, una società dove le classi dirigenti non favorivano la secessione ma il bene comune. Le élites golliste e comuniste lavorarono per il bene comune, con grandi piani industriali e di sviluppo del territorio. Come sono lontani i “trenta gloriosi”, i trent’anni di benessere e di crescita della Francia dove le classi popolari si sentirono protagoniste di quel cambiamento epocale! Che differenza con il cordone sanitario invisibile (culturale, politico e geografico) di oggi!

Sottomettendosi agli imperativi del mercato e unicamente a loro, le classi dominanti hanno abbandonato tutto quello che forgia una società (il bene comune, il servizio pubblico, la laicità, la Nazione). Dal greenwashing al socialwashing delle classi dominanti l’obiettivo è il medesimo: attraverso una comunicazione martellante cancellare le tracce e le prove del delitto. Nel 1974 Pasolini attaccava il potere della televisione che stabiliva quello che era lecito e poteva passare e quello che, al contrario, era abbietto, imbecille ed ipocrita ed andava censurato e demonizzato. Se oggi rimpiazziamo il termine televisione con social media possiamo notare l’estrema attualità di Pasolini.

L’ordine morale oggi viene brandito tramite il wokismo. La questione sociale, quando viene trattata dai social media, da Netflix, da Amazon, da Instagram dalle televisioni, non analizza mai le responsabilità delle élites, ma riduce il tutto all’emozione e al piagnisteo. La rappresentazione lacrimale delle classi popolari riassume la questione sociale. Piangere davanti alle telecamere senza mai rimettere in discussione il modello che li sacrifica socialmente. La borghesia progressista, a parole, difende gli immigrati extra-comunitari non per integrarli ma per servirsene.

Nei lavori più umili (badanti, camerieri, pulizie domestiche, raiders) rappresentano manodopera a buon prezzo necessaria a garantire il loro modo di vita borghese. Siamo molto lontani dall’idea sarkozysta di favorire un’integrazione per assimilazione dei valori repubblicani. “L’identità non è una patologia- diceva Sarkozy-. Senza identità, non c’è diversità, l’identità è condizione di diversità”. Senza identità c’è la legge della giungla, delle tribù e del comunitarismo. Sembra averlo capito anche Macron che, recentemente, ha dichiarato che “essere francesi è condividere una lingua ed una storia”.

Il wokismo è importato dagli Stati Uniti e corrisponde a logiche commerciali che tendono a distruggere l’identità di un popolo. Secondo Guilluy senza Nike, non c’è wokismo: una tecnica di vendita che si ispira ad un marketing “islamicamente corretto” (vendere un’hijab da sport, un’abaya o una burqa griffati Nike). Il wokismo, come fa notare Alain Finkielfrault in una recente intervista al “Foglio”, nasce nelle università americane e mette in discussione la cultura occidentale. Il woke, continua Finkelkrault, va di pari passo con il cambiamento demografico nella nostra società e si associa all’islamismo. In Francia l’estrema sinistra di Jean-Luc Mélenchon ne è influenzata e il suo partito, la France Insoumise, è diventato in maniera esplicita un movimento anti-sionista.

La Francia sta cambiando rapidamente e in modo drammatico. Michel Houellebecq è ancora più esplicito e fa notare che “il rallentamento e l’immobilismo dell’Occidente può essere il preludio del suo annientamento”. La borghesia ecolo-woke sta favorendo il separatismo e la segmentazione della società. La borghesia ecolo-woke si scandalizzò quando Fabient Laurent, candidato comunista alle scorse elezioni, dichiarò di amare la gastronomia francese; una bella bistecca, un pezzo di formaggio e un bel bicchiere di vino! Apriti cielo! Accusato di banalizzare l’alcol e di non pensare al benessere animale, venne accostato all’estrema destra che con il suo elogio degli aperitivi “salame e vino” avrebbe favorito il razzismo perché il piatto più diffuso in Francia sarebbe, secondo i wokisti, il couscous! Il livello del dibattito assume i contorni della farsa.

A forza di essere demonizzate le classi popolari sono attratte dai richiami dell’estrema destra di Marine Le Pen. Se ne sta accorgendo Macron che sta pensando ad un programma di re-industrializzazione, ad una lotta contro la concorrenza sleale cinese (refrain sarkozysta), ad un miglioramento di condizione di vita delle periferie degradate e ad un controllo dell’immigrazione con una lotta senza quartiere contro il dilagare dell’estremismo, del fanatismo religioso e dell’antisemitismo.

I diseredati descritti da Guilluy non cercano compassione o sussidi ma di recuperare la dignità perduta. Non cercano un mondo perfetto, ma un mondo che abbia senso!