Più Europa, più competitività, più mercato, basta statalismo nazionalista, ripensiamo il welfare con ottimismo: questo il manifesto politico di En Marche!, il movimento civico fondato dal trentottenne Emmanuel Macron. La Francia ha trovato il suo rottamatore?

Bonfante Parigi

Uno spettro liberale, innovatore, ottimista e neanche quarantenne si aggira sull’Eliseo. La risposta al parassitismo socialista di Hollande; l’alternativa al conservatorismo confuso della destra post-sarkozista; l’opposizione non remissiva verso il populismo nazionalista del Front National; in breve, la speranza politica della rinascita francese ha il volto di un giovane senza partito, filosofo e banchiere, che da un paio di anni governa l’economia pubblica nazionale: Emmanuel Macron.

Ha 38 anni, l’aspetto Paris-chic, è sposato da nove anni con la sua ex prof di lettere del liceo che di anni ne ha venti più di lui. Ha studiato filosofia a Science-Po, poi all’Ena, e per quattro anni ha lavorato nell’amministrazione delle finanze pubbliche. Nel 2008, a 30 anni, viene arruolato dalla banca d’affari Rothschild di cui arriva rapidamente a sfiorare i vertici. Nel 2010, François Hollande lo chiama alla Presidenza della Repubblica nel ruolo di segretario generale aggiunto. Quattro anni dopo, nel 2014, è Ministro dell’Economia, Industria e Digitale nel secondo governo di Manuel Valls. Ed è allora che Emmanuel Macron diventa l’étoile della politica d'oltralpe, l’outsider senza partito ma con una visione politica matura, innovativa, assertiva e assai poco francese. Una minaccia per Valls, una pietra tombale su Hollande.

Ai primi di Aprile Macron lancia un movimento civico, En Marche!, che si propone di “riportare i Francesi al centro della vita politica”. Viene liquidato come dilettante dagli elefanti che a destra come a sinistra ingabbiano la politica d’oltralpe in uno scontro vizioso tra opposte personalità e analoghi parassitismi. Ma è una diffidenza comprensibile, la loro: Macron è popolare senza essere populista, anzi è popolare proprio perché sa parlare alla testa della classe media prendendo a schiaffi i vizi più triti dello statalismo nazionalista, e lo fa a suon di battute di inequivocabile efficacia - tipo: “La Francia? Una Cuba senza sole”.

L’ambizione di Macron è forgiare un nuovo pensiero progressista che vada oltre i partiti, oltre i cleavage destra-sinistra. “A differenza della maggior parte della sinistra francese - ha osservato l’Economist - Macron sostiene che la rivoluzione digitale possa essere una leva di progresso, se si mostra capace di creare nuove opportunità per quel 25% di giovani francesi oggi disoccupati. Ma insiste anche su un più generale ripensamento del welfare e dello stato sociale che, pensato in un’epoca in cui il lavoro era per tutta la vita, dev'essere capace di adattarsi alla odierna Uberizzazione dell’economia laburista”.

La politica francese - ha spiegato Macron - è ossessionata dalla personalizzazione, e questo impedisce di sviluppare una piattaforma politica che affronti le questioni-chiave e permetta di prendere le decisioni difficili che servono al paese. Non si può costruire il futuro - ha ragionato - con il modello sociale ed economico degli Anni '50. I giovani sono l’energia con cui costruire il futuro, eppure la politica francese si permette di sprecarla. In Francia - ha osservato - c’è uno stato sociale forte che garantisce gli outsider. Queste persone, tuttavia, vengono oggi penalizzate da un sistema che offre loro la protezione del sussidio di disoccupazione ma non l’occupazione.

Alla Francia serve una piattaforma politica, non un’alternativa tra personalità - precisa Macron. “Mio dovere è costruire la piattaforma e renderla convincente”.

Temi come giustizia e libertà; sicurezza e libertà; e poi ancora società aperta. Chi risponde oggi a queste domande? “Nessuno - constata - perché sinistra e destra sono divise da una specie di linea Maginot”. Ma quella linea - secondo il promotore di En Marche! che si propone appunto di dare quelle risposte ed imporle nel prossimo dibattito presidenziale - è tra progressisti e conservatori, non tra destra e sinistra. E dev'essere la classe media la protagonista di questa marcia, perché sta a lei contribuire a creare un futuro con più opportunità. “Abbiamo costruito la nostra democrazia sulla classe media. Dobbiamo di nuovo essere capaci di mobilitarla.”

Critico, Macron, è anche verso il settarismo della democrazia presidenziale, che egli punta a reinventare a partire da un ripensamento del funzionamento democratico delle istituzioni nazionali. “Troppe persone si sentono oggi escluse da un sistema politico che dovrebbe invece dare loro rappresentanza - recita il Manifesto di En Marche! Ed una delle soluzioni al blocco delle élite che il movimento di Macron propone è il limite di due mandati consecutivi per le cariche elettive.

A metà Aprile, l’ancora poco conosciuto Macron parte per un “tour presidenziale” nel cuore dell’Europa e nel polmone della finanza europea. Si intrattiene a Bruxelles con gli studenti del prestigioso Collegio di Bruges, e con i giornalisti europei riuniti per lui da una delle testate online brussellesi più accreditate per il policymaking continentale, Politico. Si fa notare a Londra dove, anche grazie ad un inglese impeccabile - quasi una colpa per un politico francese! - buca il video della BBC. Andrew Marr, tra i volti più popolari della TV pubblica britannica, lo paragona a Tony Blair. Monsieur Macron, da parte sua, ringrazia: il carisma, l’energia, la fertilità delle idee d’altronde sono quelli. E, a quanto pare, anche l’ambizione.

Se il tour presidenziale parte da Bruxelles, cuore politico dell’Europa, e da Londra, cuore finanziario del continente, un motivo evidentemente ci sarà. “Non sono né europeista, né euroscettico, né federalista in senso classico” - ha spiegato a Bruges - precisando tuttavia di non poterne più dei “compromessi provvisori tra interessi europei”, ed auspicando piuttosto un “trattato riformatore” da preparare di qui ai prossimi diciotto mesi.

Si esprime su tutto, Macron, in questo giro europeo - dal TTIP (un’ottima cosa per l’Europa) alla Brexit (il Regno Unito ne morirebbe); da Schauble (“lui è molto più cauto di me, forse perché ha più esperienza, o forse perché è più tedesco di me!”) a Hollande (“Gli sono molto vicino”); dalle prospettive in Europa (velocizzare le riforme nazionali, velocizzare gli investimenti continentali) alla Francia (riformare tutto, a cominciare dalla politica) - cumulando entusiasmi, aspettative... e sì, certo, anche qualche perplessità. Entusiasmo per la visione, la determinazione, l’energia; perplessità sulla possibilità che un outsider fuori dalle logiche e dai potentati tradizionali possa riuscire a sparigliare l’elefantiaco sistema partitocratico-statalista francese. Il dubbio, appunto, è tutto lì.

Macron punta a riforme che attrezzino l’Unione europea ad essere attrice della competizione globale, invece di ostinarsi ad assistere, da spettatrice, all’erosione politica e di quote di mercato anche nei settori industriali su cui l’Europa stessa è nata - l’acciaio, per dire, su cui evidentemente la Francia ha interessi e li ha anche la Gran Bretagna. Il problema dell’Europa è che agisce troppo lentamente. E questo la rende impreparata a reagire sul piano continentale con la tempestività che sarebbe invece necessaria. “Il nostro problema è che il Regno Unito si comporta come se fosse lui contro la Cina, la Francia come se fosse Francia contro Cina. A causa di questo - ha osservato - abbiamo già perduto migliaia di posti di lavoro.”

Maggiore integrazione, quindi: “l’Europa è la soluzione, non il problema” - ha affermato. La tesi è che il successo dell’Europa si incardini sugli assi “modernizzazione” e “protezione”: da una parte l’evoluzione tecnologica della produzione ed il connesso impulso alla produttività, dall’altra la tenuta dei presidi produttivi e del capitale umano dall’indebolimento che gli uni e l’altro subiscono dalla competizione extraeuropea, non sempre - va detto – fair.

Poco più di un anno - da qui alle Presidenziali del 2017 - non è futuro remoto, ma per la politica francese potrebbe essere l’approdo ad un altro mondo - un mondo non de-partitizzato ma, questo sì, con una diversa organizzazione spaziale delle attuali geometrie partitiche.

Un mondo tutt’altro che fuori portata, considerato che di Hollande non vuole saperne più oltre l’80% dei francesi; che nessuno dei candidati a destra ha chance di sfondare oltre il proprio zoccolo elettorale, in cui un ancora forte ma sempre più azzoppato Sarkozy resta in corsa per le primarie repubblicane, trovandosi come competitore più forte il vecchio pezzo da novanta della destra francese, l’attuale sindaco di Bordeaux, Alain Juppé, l’unico secondo i sondaggi in grado di battere Marine Le Pen in un eventuale ballottaggio; e che, comunque vada, è improbabile che Le Pen possa avere davvero la meglio sui due blocchi repubblicani che al ballottaggio finirebbero col fare fronte comune.

“Dobbiamo cambiare noi - è la considerazione di Macron - non possiamo rimanere allo stesso punto nel quale siamo stati capaci di far crescere il Front National ai livelli di oggi”. La vera sfida di Macron, tuttavia, non sembra essere la candidatura nel 2017, quanto piuttosto quella alle presidenziali successive, ed evidentemente quella sfida si comincia a preparare oggi, magari accanto all’attuale Primo Ministro, il non-così-socialista, ancora giovane e ragionevolmente ambizioso Manuel Valls.

”Il suo ottimismo - ha scritto il Financial Times - è una botta di aria fresca. È uno dei pochi politici che ha voglia di dire agli elettori francesi che hanno sia i mezzi sia il talento per affermarsi nell’economia globale. È questa la politica di cui ha bisogno la Francia. Qualunque destino attenda il movimento di Macron, c’è da sperare che riesca a dare una scossa ad un establishment ossificato.”

Già, speriamo. Per la Francia e per L’Europa.