barcone grande

Tutta la narrativa governativa sui richiedenti asilo è falsa. Tutta.

È falso in primo luogo che solo una piccola minoranza di richiedenti asilo veda riconosciuto in sede amministrativa o, in seguito a ricorsi, giudiziaria il diritto a una qualche forma di protezione internazionale (non c’è solo l’asilo, ci sono anche la protezione sussidiaria e umanitaria – quest’ultima sfigurata dal decreto Cutro). Al contrario, sono stati nel 2022 una larga maggioranza.

La strada che quindi dal 2023 l’esecutivo ha imboccato è quella di ridurre questi numeri e di rendere il diritto di protezione meno tutelato ed esigibile. Se una norma riconosce un diritto, si cambia la norma, allineandola alla pretesa che dal punto di vista umanitario questi “invasori” di diritti non ne abbiano (non ne debbano avere) nessuno.

In secondo luogo è falso che la politica dei rimpatri possa ottenere qualche risultato coerente coi propri propositi. Il numero di rimpatriati in modo forzoso, dopo avere ricevuto un provvedimento di espulsione, è da anni solo una frazione del totale e una frazione ancora più piccola degli irregolari giunti in violazione delle leggi sull’immigrazione e come tali registrati.

Nei quattro anni tra il 2018 e il 2021 sono stati meno di 20.000 su oltre 136.000 sbarcati, meno del 15%. Considerando che solo nel 2023 fino ad oggi sono sbarcate oltre 132.000 persone e il numero di rimpatri forzosi non può aumentare di molto per assenza di risorse umane e materiali – voli disponibili, personale di scorta ecc. ecc. – oltre che per l’assenza di accordi di rimpatrio con molti paesi di provenienza l’unica strategia concretamente percorribile per smaltire l’eccesso di richiedenti asilo non riconosciuti tali non è il loro rimpatrio, ma il loro espatrio, ovvero il loro deflusso favorito o non ostacolato verso altri Paesi. Che però è esattamente quanto Francia, Germania e gli altri stati membri dell’Ue vogliono impedire.

In questo quadro, il decreto Cutro, i decreti da questo delegati al Governo e gli altri provvedimenti annunciati per un severissimo giro di vite non servono a nulla. Non serve trattenere in centri sostanzialmente detentivi (anche se formalmente diversi dai Cpr) i richiedenti asilo di Paesi considerati sicuri. Non serve aumentare fino a diciotto il numero di mesi di possibile trattenimento (cioè di detenzione). Per meglio dire, tutto questo serve dal punto di vista pratico all’effetto opposto, cioè a ridurre i deflussi, non gli afflussi e neppure i rimpatri, per le ragioni già ricordate.

Allora perché tutto questo apparato di misure? Per dimostrare che il Governo fa tutto il possibile, pur di dare riconoscimento e soddisfazione a un elettorato ingolosito e instupidito dalla promessa dell’immigrazione zero. La politica anti-immigrazionista è, come tutte le politiche razziste, fondata sull’esigenza di consolidare un pregiudizio elettoralmente auto-propellente: non di risolvere un problema percepito, insomma; al contrario di tenerne viva l’urgenza e lo strazio percepibile.

In questo quadro, il pizzo di 5.000 euro estorto ai richiedenti asilo che non vogliono farsi rinchiudere in gabbia per diciotto mesi (e che ovviamente nessuno di loro sarà in grado di pagare) è ignobile non solo perchè è ingiusto, ma perchè è del tutto gratuito. Non è un mezzo indifendibile in qualche misura giustificato da un fine onestamente dichiarato e coerentemente perseguito, costi quel che costi. 

È un fine in sè. Non si tratta cioè di violenza, magari necessitata da un malinteso, ma genuino proposito di difesa da un pericolo incombente; si tratta proprio di bullismo, di umiliazione di persone chiaramente indifese e inermi, a fini puramente dimostrativi, compresa l’estorsione di quel pizzo per la libertà perfettamente ragguagliato alle tariffe degli scafisti. Come tutti gli atti di bullismo, c'è da credere che anche questo troverà un proprio pubblico, che nella liturgia dell'umiliazione altrui esorcizza il terrore della propria. Gli immigrati sono diventati gli "sfigati della classe" della sfigatissima democrazia italiana.