papa lgbt grande

A prescindere dal disegno di legge Zan, il riflesso pavloviano del côté progressista di bollare come retrograda qualunque critica o riserva alle leggi cosiddette “di civiltà” (anche quando riguardino il “come” e non il “che” e provengano dall’interno della stessa sinistra) è qualcosa di così prevedibile e scontato da apparire come una sorta di fenomeno naturale. Come la nebbia in Val Padana, diciamo.

Sempre a prescindere dal disegno di legge Zan, qualcosa del genere deve dirsi anche del riflesso pavloviano di molti porporati e intellettuali cattolici, sempre pronti a insorgere contro qualunque norma, campagna o, in senso lato, “cultura” che sfidi i valori non negoziabili della Chiesa in materia di etica sessuale e riproduttiva.

A prescindere poi dalla noia di questo gioco, destinato a ripetersi a quanto pare in saecula saeculorum, sarebbe comunque il caso di relativizzare queste baruffe e smettere di considerare il conformismo progressista come un vero pericolo per la libertà di parola o, addirittura, come una forma di polizia del pensiero e il Tevere e l’Oltrotevere come la trincea universale delle battaglie di laicità e di libertà, sessuali e non sessuali.

Per quanto rimbombi la prosopopea da guerra di civiltà sulla legge anti-omofobia, oggi in Italia e in Europa i nemici della libertà sessuale e quelli della libertà di parola non sono annidati tra i reduci della teologia morale ratzingeriana o del gauchismo tradizionale, ma appartengono a quell’universo complesso e trasversale, che ha fatto dell’eversione anti-liberale il proprio scopo sociale e politico e che reagisce alla crisi politica dell’Occidente, presentando il sovvertimento del modello della società aperta come manuale di autodifesa occidentalistica. A questi nemici interni, che quasi sempre utilizzano il tradizionalismo religioso come alibi politico, la Chiesa cattolica ufficiale non ha mai offerto alcuna sponda, né copertura ideologica e proprio gli scontri tra Trump e Bergoglio sono lì a testimoniarlo. La Chiesa, anche al di là del Pontificato di Bergoglio, ha ormai caratteristiche demografiche e geopolitiche incompatibili e quindi culturalmente opposte a quelle del sovranismo etnonazionalista.

Quanto ai nemici “esterni” e in particolare alla complessa galassia islamista, che affascia regimi sovrani e organizzazioni eversive, davvero qualcuno vuole sostenere che il progressismo multiculti ne rappresenti una quinta colonna o un apparato di servizio, disponibile a legittimare in nome del pluralismo religioso forme di separatismo civile e di oppressione personale? Ma dove? Ma quando?

L'afasia e il gesuitismo della sinistra nel fronteggiare fenomeni intrinseci alle dinamiche migratorie, per non rischiare di apparire "razzista", non rende di per sè questo schieramento complice o partecipe di alcun progetto di assoggettamento della società alle regole della sharia. Allo stesso modo, l'inerzia e le contraddizioni di una Chiesa crocifissa da decenni all'oltranzismo sessuofobico e alla bioetica "genitalista" dell'ex Sant'Uffizio non la rendono certo la sponda politica preferita dai banditori del disprezzo e dell'odio anti-lgbt.

Insomma, prima di pensare che i pericoli per la libertà siano nello scontro tra l’onesto Marco Tarquinio e il generoso Alessandro Zan, bisognerebbe alzare gli occhi in direzione di Orban e di Erdogan e dei loro amici in Italia e in Europa, fieri nemici di tutte le libertà, sessuali e di parola.