poverta covid grande

È da poco trascorso un anno dal primo lockdown generale che chiuse tutto il Paese. Come certamente si ricorderà fu un momento drammatico che sconvolse tutti minando ogni certezza, a cominciare da quelle che fino ad allora avrebbero potuto ritenersi banalmente scontate come, ad esempio, l’esercizio delle libertà costituzionali. Abbiamo infatti assistito ad una loro compromissione senza precedenti adottata con una tipologia di atti, i famigerati decreti del Presidente del Consiglio, che suscitava (e suscita tuttora) numerose perplessità, sopite soltanto dalla consapevolezza della situazione emergenziale in corso.
Dopo un anno e forse possibile fermarsi un solo istante a riflettere sugli effetti prodotti da questo genere di misure che, in differente modo, si sono protratte per l’intero anno allo scopo di valutarne il suo razionale equilibrio complessivo. Al riguardo, recentemente l’Istat ha prodotto due serie di dati di estremo interesse ai nostri fini, relativi alla mortalità e alla povertà nel 2020.

Con riferimento al primo aspetto, come ormai è noto, nel 2020 il tasso di letalità è complessivamente aumentato ( Impatto dell’epidemia Covid-19 sulla mortalità totale della popolazione residente, anno 2020 – 5 marzo 2021 - Report_ISS_Istat_2020_5_marzo.pdf ). Infatti, dallo studio si può osservare come il numero dei decessi sia aumentato a causa del Covid-19 di circa il 21% e abbia colpito principalmente le classi di età più anziane. In particolare, il contributo più rilevante all’eccesso dei decessi dell’anno 2020, rispetto alla media degli anni 2015-2019, è dovuto all’incremento delle morti della popolazione con 80 anni e più che spiega il 76,3% dell’eccesso di mortalità complessivo; mentre l’incremento della mortalità nella classe di età 65-79 anni spiega un altro 20% dell’eccesso di decessi.

Invece per quanto riguarda la classe di età 0-49 anni, considerando l’intero anno 2020, i decessi totali sono inferiori a quelli medi degli anni 2015-2019 dell’8,5%. Il fatto che la mortalità della popolazione più giovane nel 2020 risulti generalmente inferiore alla media del 2015-2019 è spiegata con la minore letalità dell’epidemia al di sotto dei cinquanta anni e con la riduzione della mortalità per alcune delle principali cause che interessano questo segmento di popolazione, come quelle accidentali, per effetto del lockdown e del conseguente blocco della mobilità e di molte attività produttive.

Per il secondo aspetto, le stime preliminari della povertà assoluta (Stime preliminari povertà assoluta e delle spese per consumi. Anno 2020 – 4 marzo 2021), evidenziano come questa sia tornata a crescere e abbia toccato il valore più elevato dal 2005: le stime preliminari del 2020 indicano valori dell’incidenza di povertà assoluta in crescita sia in termini familiari (da 6,4% del 2019 al 7,7%, +335mila), con oltre 2 milioni di famiglie, sia in termini di individui (dal 7,7% al 9,4%, oltre 1 milione in più) che si attestano a 5,6 milioni. Il dato che maggiormente inquieta in questo caso riguarda la maggiore gravità per le famiglie con figli minori, con un’incidenza di povertà assoluta che passa dal 9,2% all’11,6%, dopo il miglioramento registrato nel 2019.

L’incidenza di povertà tra gli individui minori di 18 anni sale, infatti, di oltre due punti percentuali - da 11,4% a 13,6%, il valore più alto dal 2005 - per un totale di bambini e ragazzi poveri che, nel 2020, raggiunge 1 milione e 346mila, 209mila in più rispetto all’anno precedente. La situazione peggiora anche tra gli individui nelle altre classi di età, ad eccezione degli ultra sessantacinquenni per i quali l’incidenza di povertà rimane sostanzialmente stabile. Anche nell’anno della pandemia, la presenza di anziani in famiglia - per lo più titolari di almeno un reddito da pensione che garantisce entrate regolari - riduce il rischio di rientrare fra le famiglie in povertà assoluta. La percentuale di famiglie con almeno un anziano in condizioni di povertà è pari al 5,6% (sostanzialmente stabile rispetto al 2019 in cui era pari al 5,1%); quelle dove gli anziani non sono presenti l’incidenza passa invece dal 7,3% al 9,1%. La povertà assoluta aumenta tra le famiglie con persona di riferimento occupata La crisi ha colpito in modo particolare le famiglie in cui la persona di riferimento è nella fase centrale dell’esistenza lavorativa. Per quelle con la persona di riferimento tra i 35 e i 44 anni e tra i 45 e i 54, l’incidenza di povertà assoluta cresce rispettivamente dall’8,3% al 10,7% e dal 6,9% al 9,9%.

La combinazione dei tristi dati sopraelencati comprova la gravità della situazione determinata dalla pandemia, ma forse getta qualche dubbio sulla sua gestione. Al riguardo, non si intende promuovere una pregiudiziale critica disfattista, ben consapevole della complessità dei problemi che il Paese si è trovato improvvisamente ad affrontare. Ma anche di fronte alla più grave crisi dal secondo dopoguerra la migliore strategia per uscirne sembra essere quella di riflettere sulle eventuali manchevolezze che i summenzionati dati ci sembrano mostrare: un difettoso bilanciamento tra i diversi valori costituzionali stravolti dalla pandemia, con una sproporzionata e irragionevole predominanza delle esigenze sanitarie a scapito delle libertà personali e di quelle economiche.

Senza dubbio, il diritto alla salute è uno dei cardini fondamentali della nostra Costituzione. Ma sarebbe erroneo ritenere che sia il valore assoluto per tutelare il quale si possono azzerare le libertà personali e la stessa dignità umana, posto che in ogni latitudine e in ogni epoca, la miseria è sempre stata percepita come una condizione contraria alla dignità umana, al punto che per molti i poveri non sono persone. Peraltro, a ben vedere, qui non occorre richiamare l’efficace metafora di Schmitt secondo la quale i valori sono entità tiranniche ciascuna delle quali esige di affermarsi anche a dispetto delle altre, a differenza di principi e norme che conferiscono ai valori rilevanza giuridica, realizzando un necessario bilanciamento tra valori diversi (tutela della salute e libertà personali ed economiche).

Può essere sufficiente osservare che molte esternalità negative sono dipese da un’applicazione assolutista e fondamentalista del principio di massima precauzione, che ha indotto a comprimere troppo irragionevolmente le libertà personali, con assurde pretese di regolare aspetti della vita degli individui senza alcuna attinenza con la tutela del contagio, come la tristemente famosa regola della visita consentita ai soli congiunti e a protrarre per un tempo eccessivamente lungo le misure di restrizione alle attività economiche. In altri termini, se si applicasse questo principio così inteso sempre, sarebbe impossibile svolgere una qualsiasi attività industriale ed edile e bisognerebbe vietare la circolazione con qualsiasi mezzo diverso dalla bicicletta. Si vuole dire che ogni attività umana comporta concreti rischi, cioè lo svolgimento di queste attività determinerà certamente un certo numero di perdite umane, eppure nessuno finora si è mai sognato di impedirle del tutto, quanto piuttosto di cercare di individuare le migliori soluzioni possibili per ridurre al minimo questo rischio ovvero, appunto, di bilanciare ragionevolmente i contrapposti valori in gioco.

D’altronde, sembra che il Paese non sia nelle condizioni di trascurare ancora le esigenze di natura economica e sociale, posto che come già emerso in un recente studio, l’Italia si contraddistingue da almeno un ventennio da una maggiore esposizione alle crisi e ad una più lenta ripresa rispetto ai suoi potenziali competitori, attestata dalla sua progressiva minore incidenza sul Prodotto Interno Lordo europeo di circa il 18,4% (https://24plus.ilsole24ore.com/art/la-lunga-stagnazione-italiana-20-anni-perso-184percento-rispetto-pil-dell-eurozona-ADuHwyLB).

Siamo dunque un Paese in fase di declino che forse doveva approcciarsi con maggiore ragionevolezza alla pandemia per non rischiare di restarne sepolto. Il nuovo Governo sembra esserne maggiormente consapevole, ancorché comprensibilmente non possa cambiare radicalmente linea in un momento in cui i dati di contagio sono in obiettiva crescita. Ma questa imminente chiusura deve essere l’ultima così severa e affiancarsi ad una pari accelerazione reale della campagna vaccinale. Infatti, pochissimi hanno contestato il primo lockdown. Ma questo consenso generale è man mano scemato per la sostanziale incapacità dei pubblici poteri di predisporre anzitempo misure preparatorie e alternative alle scelte prese in piena e improvvisa emergenza.

Giusto l’altro giorno è stato presentato un Programma per l’Italia da diversi importanti individui e soggetti dell’area riformista e liberaldemocratica (Azione, Più Europa, Partito repubblicano italiano, Alleanza liberaldemocratica per l’Italia e Liberali), il quale si fonda su tra capisaldi fondamentali: la parità delle condizioni di partenza; il merito; la solidarietà. Questi capisaldi per essere inverati in una concreta azione politica richiedono necessariamente una tendenziale crescita economica, in quanto le società in regressione economica strutturale tendono naturalmente a essere contraddistinte da chiusure oligarchiche e corporative, con cui singoli e gruppi provano a tutelare il proprio benessere in modo particolaristico e contro obiettivi e valori di interesse generale.

Sono le società in crescita quelle che possono più facilmente attivare l’ascensore sociale e, in realtà, assicurare una sfera di libertà effettiva e financo un sistema solidaristico. Si può, infatti, configurare il miglior sistema di tutela sociale possibile, ma senza adeguate risorse è destinato a restare sulla carta. I diritti sociali hanno una ontologica dimensione effettuale, senza la quale rischiano di restare mere petizioni di principio. E ciò vale anche per la tutela della salute. Non è, infatti, un caso che le società più ricche hanno le più alte aspettative di vita e spesso assicurano anche alle persone più fragili condizioni di vita inimmaginabili in altre esperienze ordinamentali.

E difatti si osserva che dopo questo ventennio di strutturale declino l’ascensore sociale si è bloccato con solo il 12% dei giovani che ha probabilità di arrivare alla laurea se i genitori hanno la licenza media, come reso noto da un recente studio dell’Inapp, l’Istituto nazionale per l’analisi delle politiche pubbliche, e i ripetuti tagli alla sanità per fare quadrare i sempre traballanti conti pubblici hanno determinato una estrema vulnerabilità alla crisi sanitaria, causando ripetute chiusure generalizzate per consentire di non far collassare strutture sanitarie evidentemente non attrezzate.

In conclusione, sembra auspicabile dinanzi ai drammatici dati emersi che i pubblici poteri adottino un atteggiamento più pragmatico che tenti di tutelare con equilibrio i diversi valori costituzionali in gioco, senza sacrificare sull’altare dell’epidemia le libertà tradizionali del costituzionalismo liberaldemocratico e il benessere morale e materiale che i nostri padri hanno faticosamente conseguito, perché le peggiori malattie per l’uomo sono la miseria e la negazione della libertà.