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Le novità, le rivelazioni e le polemiche sulla condanna per frode fiscale a Berlusconi per la compravendita dei diritti tv sono un una sorta di dispositivo ottico – qualcosa di più realistico di un caleidoscopio e di più complesso di una lente di ingrandimento – e consentono di vedere sotto una luce particolare e particolarmente illuminante molte delle vicende della politica e della giustizia italiana dell’ultimo quarto di secolo.

Questo articolo minuzioso di Fabio Cammalleri riscostruisce perfettamente il testo e il contesto di un processo davvero speciale nei tempi, nei modi e negli esiti. Pure qualcosa di più di una condanna annunciata. Ma esiste anche un contesto politico (e politico-giudiziario) in cui processo e condanna sono maturati e sono tutti successivi alla parabola del potere berlusconiano, che si conclude, assai poco gloriosamente, alla fine del 2011 con l’Italia alle porte del default, quando il Caimano è ancora un player importante, ma ha cessato definitivamente di essere un leader maggioritario. I pm e i giudici uccidono giudiziariamente un Berlusconi politicamente già mezzo morto.

È certo che questa condanna è la coda di una guerra iniziata vent’anni prima, ma non è vero che il suo bersaglio – Berlusconi – fosse ormai lo stesso di allora, con la stessa pericolosità per gli equilibri della politica della giustizia e di quella penale in particolare. Era già un Berlusconi perfettamente normalizzato, che aveva tentato e fallito tutti i possibili compromessi pubblici e privati, che aveva rinunciato completamente a cambiare la giustizia per l’Italia, accontentandosi di adattarla agli interessi propri e del suo inner circle assediato dalle truppe del mani-pulitismo permanente.

Era insomma già un Berlusconi che aveva ormai barattato il sogno della rivoluzione liberale (anche sulla giustizia) con il comodo e realistico rifugio di una destra manettara e violenta coi poveracci e ancora indulgente e rispettosa dei galantuomini, cioè con un ideale di classe uguale e contrario a quello dei “pm del popolo”, che minacciavano a reti unificate la sedizione contro ministri e politici riluttanti a vedere trasformata l’Italia in una Repubblica delle forche in amministrazione giudiziaria.

In un Italia in cui troppa sinistra non perdonava a Berlusconi di volere fare le cose giuste per le ragioni sbagliate – cambiare la giustizia in meglio per averne un vantaggio – ci sono stati troppi garantisti “liberali” (gli attuali “liberali per Salvini”), che gli hanno perdonato di fare un sacco di cose sbagliate per ragioni giuste, di legittima difesa e di tutela democratica del popolo berlusconiano, contro l’esproprio giudiziario del suo ideale politico.

La giustizia per Berlusconi e per i suoi accusatori è stata in fondo la stessa cosa: un mezzo per regolare conti politici, non un fine per rispristinare lo stato diritto. Una "cosa", un potere e una funzione che, malgrado la pretesa uguaglianza, doveva essere per forza disuguale per bilanciare la sproporzione di forze e di ragioni di cui in Italia la giustizia è impropriamente depositaria. La vera condanna per Berlusconi, che nessun giudice potrà pronunciare, è quella di avere usato politicamente della giustizia (e delle leggi sulla giustizia) esattamente come i suoi nemici, sentendosene, come loro, necessitato e autorizzato da prevalenti ragioni storiche e ideologiche.

Per quanto dalle cronache – e si spera anche dai processi, se vi sarà una revisione della sentenza di condanna – sia legittimo attendersi e anche auspicare una riabilitazione piena dell’imputato/condannato Berlusconi per frode fiscale, dalla storia politica di questo Paese non potrà venire alcuna riabilitazione politica per il sedicente riformatore senza riforme, per il “garantista” censuario e etnico-razziale, per quello che doveva realizzare la “giustizia giusta” e ha iniziato la carriera politica offrendo un Ministero a Tonino Di Pietro per finirla probabilmente agli ordini di un manutengolo di Putin che sequestra i naufragi in mezzo al mare.

L’imputato Berlusconi è innocente, il politico Berlusconi proprio no.

@carmelopalma