Saviano rilegge Sciascia e lo 'giustizia'
Diritto e libertà
“Il garantismo italiano negli ultimi 25 anni è stato maggioritariamente una storia di puttane, che hanno sbandierato Beccaria solo per vendersi meglio.” Roberto Saviano, oggi su Repubblica.
“Maggioritariamente”. E verrebbe da chiedersi quali maggioranze, in seno ad una pattuglia di isolati e raminghi, come sono, nella Repubblica dei Di Maio e dei Bonafede, di una Legge semiufficialmente denominata “Spazzacorrotti”, e di altre similari lordure lessical-politiche, tutte approvate con consenso ampio e palindromo, da Salvini a Di Maio e ritorno, passando per ogni sorta di Saviano e di Conte, dove mai, dicevo, in un tale “spazio civile”, i sostenitori dei “diritti della persona accusata”, dell’individuo “a petto” del Potere statale, possano essersi formate “maggioritariamente”. E tanto da agitare le fantasie postribolari di Saviano.
Parole verbose, in realtà: segno di una prosa che ha smarrito il suo equilibrio, e forse il suo stesso squilibrio, cedendo ogni spazio al dominio del ventre: e che accozzando voluttuosamente tutto e il suo contrario, spaccia infine il suo veleno sintetico, il suo crack emotivo. Questo suo crack, prima di affiorare alla soglia esplosiva, è però costruito con freddezza da laboratorio, che non esclude, e anzi in fondo favorisce il vaneggiamento delle mete finali prefigurate.
Prende un po’ di Lombardia, un po’ di morti, un po’ di Sciascia, un po’ di Bordin; prende persino dall’acribìa filologica dell’ottimo Guido Vitiello (che dell’Umberto Eco, anche autore del “Non lasciamo solo Roberto Saviano”, felicemente scrisse: “quando penso a Umberto Eco, non mi viene in mente nulla”: ma questo Saviano non lo sa, o non lo ricorda, o non lo cita), e distilla una “giustizia-sostanza”, la Giustizia Sociale: che a lui ovviamente starebbe a cuore, e non a chi ha sostenuto il diritto individuale nella sua inviolabilità per chiunque: compresi Berlusconi e Salvini, verso i quali invece si sarebbe dovuto negare.
E poiché, tanto all’uno quanto all’altro di costoro, qui e altrove si sono rivolte liberamente critiche politiche, anche aspre e motivate (all’uno, sin da quando Saviano era Scrittore Mondadori, e retroattivamente, fino alla sciagurata scelta “neutralista” circa il Referendum sulla separazione delle carriere del 2000; e all’altro, per le sue scelte e le sue posture politiche, antiche e recenti, ma non perché, nientemeno, sarebbe abusivo titolare di diritti universali), si può senza meno affermare che, propriamente parlando, Saviano agisce come, in fondo, ha sempre agito: un agit-prop che mette a reddito le sue “dottrine”.
E lo fa, con perizia professionale: proprio scuotendo la superficie dei sentimenti, in un momento in cui più diffuso è il dolore, e più insidiosa è la lusinga del Capro Espiatorio.
Saviano avvelena i pozzi della democrazia, quando allude alle necessità di “analizzare le ragioni, anche culturali e antropologiche” che avrebbe determinato la tragedia lombarda. E lo fa perché mette in relazione “i processi” penali, che in sè sono una possibilità legittima, non, si badi, con condotte individuali da accertare in ogni loro profilo: ma proprio con quelle “ragioni culturali e antropologiche” poste quale “premessa”. Avvelena, dunque, in quanto invoca l’ennesima stagione “stalinizzata” della vicenda pubblica italiana.
Responsabilità penale=Responsabilità Culturale=Responsabilità Politica. Sappiamo.
Ma se proprio un’accusa di ordine generale, etico e culturale, si dovesse levare, questa andrebbe mossa, in primo luogo, a quanti hanno voluto, lungo gli ultimi trent’anni, la liquidazione sistematica del ceto dirigente italiano, e della stessa “forma democratica” della sua selezione: liquidazione compiuta, esattamente, irresponsabilmente, da quel complesso di violenza giudiziaria e servile propaganda, che ci ha messo in condizione di dover affrontare una catastrofe di ancora ignote proporzioni, al comando della peggiore accozzaglia di incapaci che la storia repubblicana ricordi.
Non l’Ing. Ettore Incalza, dieci volte assolto, ma Toninelli; non Ilaria Capua, perseguitata con la minaccia dell’Ergastolo, ma una legione di “questo lo dice lei”; non Sciascia, univocamente oltraggiato come paramafioso, proprio dallo stesso cotè che avrebbe gemmato il miracolo editorial-savianeo, ma Grillo; non Rocco Greco, piccolo imprenditore di Gela “suicidato” dall’Antimafia, ma Crocetta; non Giuseppe D’Avanzo, ma Travaglio.
Saviano “vende” il suo interesse per la questione migratoria; e coniuga a questo spot per la sua bottega personale, un accenno di catechismo sul “vero garantismo”: “Il Garantismo vive nelle carceri al fianco degli ultimi tra gli ultimi dei condannati e dei detenuti in attesa di giudizio”. Degli ultimi in carcere? In attesa di giudizio? Migranti? Lui? Ah sì?
Ad esempio: Medhanie Tesfamariam Berhe è un cittadino eritreo, tenuto per tre anni in galera, fino alla sua faticosissima liberazione (ma è ancora sub iudice, cioè, sotto scopa), perché accusato di essere “un trafficante di migranti”, lui, poveraccio fra i poveracci: per un errore di persona, prontamente e diffusamente denunciato; tuttavia, tenacemente ignorato dalla Procura di Palermo. Bene: il “giusto garantismo” di Roberto Saviano, la sua intemerata coscienza civile, non si sono sentite di spendere un solo colpo di tosse in quella direzione.
Perché Roberto Saviano il Potere non osa nemmeno sfiorarlo. Lui, il Potere, quello vero, lo “garantisce”. E viceversa.
Mentre spiriti a lui consentanei, nel Governo e fuori, inneggiano alla Repubblica Popolare Cinese (la stessa che continua a promuovere “Processi Penali a base culturale e antropologica”), Saviano vive nel “cuore di tenebra” statunitense, il Nemico Numero Uno del Celeste Impero e, tutto sommato, comunque ancora “garante” di un certo perimetro liberale, del quale prima e dopo Trump, anche Saviano e molti altri nel mondo, seguiteranno a godere.
E lo fa acquisendone le abilità industriali, che tutto sanno mettere a profitto: comprese opere cinematografiche che sublimano, all american way, la salsa al sugo di Gomorra e Camorra, che mai delude lo spettatore moralmente pigro, ma lieto di massificare vulgate massificanti e alienanti. Quando non obliquamente emulative. E in questa ambiguità, che tutte le riassume, si pascono i sensi civici e le misture emotive di Roberto Saviano.
Lasci perdere Sciascia. Lasci perdere Bordin. E torni a farneticare in solitaria.