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Lo scorso 24 gennaio alla Rappresentanza Permanente dell’Italia presso l’Unione Europea è pervenuta la lettera con la quale la Commissione Europea ha aperto la procedura di infrazione n. 2018/2273 mettendo in mora le autorità italiane per la mancata conformità al diritto UE di alcune norme concernenti la disciplina degli appalti e delle concessioni. La seconda delle disposizioni legislative rispetto alla quale la Commissione Europea ha esposto i propri rilievi è il comma 2-bis dell’art. 16 del D.P.R. 380/2001 (in seguito Testo Unico dell’Edilizia).

Si tratta di un comma introdotto con il Decreto Legge n. 201 del 6 dicembre 2011 (il cosiddetto SalvaItalia) varato e convertito in legge ai tempi del governo presieduto da Mario Monti, con il quale, in nome di una presunta e malintesa semplificazione, si consente agli operatori (titolari del permesso di costruire) di realizzare direttamente - e senza l’obbligo di rispettare le disposizioni contenute nel cosiddetto Codice dei Contratti - le opere di urbanizzazione primaria (strade, fogne, etc.) qualora siano sotto la soglia comunitaria. Per quest’ultima, con specifico riferimento ai lavori, si intende la somma ora pari a € 5.548.000 riportata nella formulazione attualmente vigente dell’art. 35 del Codice dei Contratti, superata la quale l’appalto di lavori viene considerato di rilevanza comunitaria e deve essere aggiudicato attraverso l’integrale applicazione del regime giuridico dettato dalle Direttive UE.

All’origine di questa scelta c’è la volontà del legislatore comunitario di coordinare effettivamente le procedure nazionali di aggiudicazione degli appalti facendo in modo che, rispetto a lavori di importo superiore a un valore ritenuto significativo, trovino concreta ed integrale applicazione i principi del trattato sul funzionamento dell’Unione europea (TFUE) e in particolare la libera circolazione delle merci, la libertà di stabilimento e la libera prestazione di servizi, nonché i principi che ne derivano, e che gli appalti pubblici siano aperti alla concorrenza. 

Tornando all’esame dell’art. 16 comma 2-bis (in seguito solo comma 2-bis) va precisato preliminarmente anche che è stato formulato in modo tale da lasciar intendere che l’esecuzione diretta di dette opere, definita “a carico del titolare del permesso di costruire”, venga fatta detraendo le somme impiegate da quelle che il medesimo titolare del permesso di costruire è tenuto a versare ai sensi dello stesso art. 16 del Testo Unico dell’Edilizia. Su questo punto il legislatore ha scelto di omettere un esplicito riferimento alla locuzione “a scomputo degli oneri di urbanizzazione” - probabilmente nel tentativo di sottrarsi al sindacato più volte esercitato dalla Commissione Europea su questa fattispecie giuridica e sul modo nel quale è stata regolata nel nostro paese - contando sul fatto che l’operatore non potesse, necessariamente, essere assoggettato ad una doppia obbligazione: versare il contributo dovuto per la realizzazione delle opere di urbanizzazione delle aree interessate dall’intervento di trasformazione urbanistico-edilizio ed eseguire direttamente, a propria cura e spese, le opere per le quali ha versato detto contributo.

La disamina esposta nella lettera del 24 gennaio consente di accertare sia la ragione per la quale la Commissione ha scelto di censurare il comma 2-bis, sia il percorso logico che ha seguito. Quest’ultima norma viene considerata lesiva della Direttiva 2014/24/UE dal momento che, in continuità con quanto stabilito con le previgenti Direttive europee in materia, l’art. 5, paragrafo 8 di detta Direttiva esclude la possibilità che una determinata categoria di opere possa essere scorporata dal computo complessivo dei lavori da aggiudicare che ciascuna amministrazione aggiudicatrice è tenuta in ogni caso a predisporre - e tenere in considerazione al fine di verificare l’eventuale superamento delle soglie fissate dalla Direttiva UE - anche quando i lavori sono suddivisi in lotti, e gli appalti vengono aggiudicati per lotti separati. L’art. 5 paragrafo 8 della Direttiva 2014/24/UE prevede, infatti, che quando un’opera può dar luogo ad appalti aggiudicati per lotti separati ed il valore aggregato dei lotti è pari o superiore alla soglia comunitaria la disciplina comunitaria si applica comunque all’aggiudicazione di ogni lotto, e dunque nessuna quota parte dei lavori da aggiudicare può essere eseguita senza applicare il Codice dei Contratti, come invece è ammesso dal comma 2-bis.

A giudizio dei Servizi della Commissione la corretta e sistematica attuazione di questa disposizione del diritto UE è messa in pericolo dalla presenza nell’ordinamento italiano di una norma, come il comma 2-bis, che sembra riservare alle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria una cornice giuridica autonoma e propria, sottratta all’applicazione della normativa UE in materia. All’interno del quadro giuridico disegnato dal comma 2-bis, a giudizio della Commissione, è possibile procedere, infatti, all’esecuzione diretta da parte del titolare del permesso di costruire delle opere di urbanizzazione primaria funzionali all’intervento di trasformazione urbanistico-edilizio, senza l’obbligo di applicare il Codice dei Contratti, indipendentemente dall’importo complessivo dei lavori riferiti al medesimo intervento, e dunque anche a prescindere da quanto l’art. 5 paragrafo 8 della Direttiva 2014/24/UE sopramenzionato stabilisce proprio a tutela del fatto che non si proceda a frazionamenti dei lavori con finalità meramente elusive del diritto UE.

Come segnalato in precedenza, la Commissione dà anche conto del percorso fatto per giungere alla conclusione dell’attività di verifica riferite alla norma, effettuate come ricordato a pagina 5 della lettera di costituzione in mora nell’ambito dell’indagine EUP(2015)7994 aperta dalla Commissione in seguito alla presentazione, da parte di chi scrive e di Marco Cappato, di una denuncia avente come oggetto le Linee Guida adottate dalla Giunta di Milano per dare attuazione, tra le altre cose, al comma 2-bis. Dalle risultanze dell’attività di indagine e in particolare dall’esame del caso oggetto della denuncia, la Commissione ha dedotto che ancorché si possa dare un’interpretazione della norma in esame qualificabile come compatibile con la Direttiva – alla quale si farà esplicito riferimento in seguito – “le Autorità italiane seguono l’interpretazione non conforme dell’art. 16, comma 2-bis del DPR 380/2001”.

Anche per giustificare un intervento censorio giunto a distanza di più di 7 anni dall’entrata in vigore della norma, la Commissione, prima di giungere alla conclusione anticipata sopra, ha chiarito come il comma 2-bis possa essere interpretato ed applicato senza violare il diritto UE nel caso in cui - tenendo ferma la disposizione del Codice che recependo quella fissata nella Direttiva impone di considerare l’importo complessivo dei lavori da realizzare anche quando quest’ultimi vengono aggiudicati attraverso appalti distinti - si proceda all’esecuzione diretta delle opere di urbanizzazione primaria sotto soglia, senza applicare il Codice dei Contratti, soltanto se “il valore cumulato dei lotti”, e non soltanto quello delle suddette opere di urbanizzazione primaria, sia inferiore alla soglia UE. Ma come già scritto, a giudizio della Commissione ha finito per prevalere l’interpretazione non conforme del comma 2-bis secondo la quale, per effetto della suddetta norma, le opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia costituiscono una sorta di fattispecie giuridica autonoma e distinta, e la portata applicativa, o meglio derogatoria rispetto al Codice dei Contratti, della norma in discussione non può trovare un limite proprio nelle disposizioni del medesimo Codice. Ciò implica, a giudizio della Commissione, che il comma 2-bis si applica “non soltanto se il valore cumulato dei lotti è inferiore alla soglia UE, ma anche se il valore di ciascun singolo lotto, considerato in modo isolato rispetto agli altri lotti, è inferiore alla soglia UE.”

A sostegno della tesi della prevalenza dell’interpretazione non conforme, la Commissione dà conto non solo del modo, a suo giudizio esemplificativo, nel quale il Comune di Milano aveva interpretato la norma attraverso la disciplina della sua attuazione dettata con le Linee Guida approvate nel 2013, ma anche e soprattutto di due deliberazioni “interpretative” adottate rispettivamente dall’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici (AVCP) nel maggio del 2012 e dall’Autorità Nazionale Anticorruzione (ANAC) nel marzo 2018.

È proprio la pubblicazione della Delibera n. 206 del 1° marzo 2018 – effettuata, tra l’altro, mentre era ancora aperta la menzionata indagine EUP(2015)7994 – a consolidare l’orientamento della Commissione secondo il quale è prevalente un’interpretazione non conforme alle norme UE del comma 2-bis del Testo Unico dell’Edilizia. Ciò per due ordini di ragioni: il primo è connesso al contenuto delle Linee Guida n.4 recanti “Procedure per l’affidamento dei contrati pubblici di importo inferiore alle soglie di rilevanza comunitaria” di cui alla Delibera ANAC n. 2016/2018; il secondo alla tempistica dell’approvazione di dette Linee Guida ed alla relazione temporale tra dette Linee Guida e le modifiche apportate al Codice dei Contratti con il decreto legislativo (correttivo) 19 aprile 2017, n. 56.

Come è possibile leggere a pagina 7 della lettera di costituzione in mora, per la Commissione la Delibera ANAC n. 206/2018 ripropone, con un marginale aggiustamento, l’interpretazione non conforme del comma 2-bis già prospettata nella richiamata Delibera AVCP n. 46 del 3 maggio 2012 ammettendo la possibilità che in applicazione di detta norma l’importo delle opere di urbanizzazione primaria a carico del titolare del permesso di costruire - se affidate da quest’ultimo a terzi e se il loro valore è inferiore alla soglia UE – può essere scorporato dal valore complessivo delle opere di urbanizzazione da da eseguirsi nel quadro del progetto di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio autorizzato.

A tutto ciò si deve aggiungere, poi, il fatto che la Delibera ANAC n. 206/2018 è stata approvata e pubblicata in seguito all’approvazione del primo decreto correttivo del Codice dei Contratti con il quale - come riportato a pagina 5 della lettera di costituzione in mora – “in risposta alle osservazioni della Commissione nell’ambito dell’indagine EUP(2015)7994 le Autorità italiane hanno modificato l’articolo 36 comma 4 del decreto legislativo 50/2016” con l’art. 25 del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56 stabilendo espressamente che il comma 2-bis del Testo Unico dell’Edilizia trova applicazione rispetto alle opere di urbanizzazione primaria di importo inferiore alla soglia comunitaria “calcolato secondo le disposizioni di cui all’art. 35, comma 9”, e dunque tenendo esplicitamente ferma la disposizione della Direttiva UE che impone di considerare il valore cumulato dei lotti attraverso i quali un lavoro possa essere suddiviso ed appaltato.

Una precisazione normativa di questo tipo avrebbe consentito, a giudizio della Commissione, di rendere abbastanza chiara quale fosse l’interpretazione del comma 2-bis – conforme alla normativa UE – che le amministrazioni aggiudicatrici avrebbero dovuto seguire, se non fosse stata smentita o comunque messa seriamente in crisi dalla Delibera ANAC n. 206/2018 menzionata sopra. Ed alla luce di ciò, infatti, la Commissione conclude la propria istruttoria considerando il comma 2-bis censurabile dal momento che la suddetta norma, prestandosi ad essere interpretata ed essendo interpretata in modo non compatibile con la direttiva 2014/24/UE, “non attua tale direttiva con la necessaria chiarezza e certezza giuridica”.

In conclusione si può evidenziare il fatto che per la Commissione non è tanto la lettera della norma – specialmente dopo la citata modifica del correlato art. 35 comma 4 del Codice dei Contratti – a ledere il diritto UE, quanto piuttosto il lavorio interpretativo di detta norma, effettuato da quella che prima era l’Autorità di Vigilanza sui Contratti Pubblici prima ed ora è l’Autorità Anticorruzione. Si tratta di uno sforzo interpretativo – delle quali le Delibere del 2012 e del 2018 prese in esame dalla Commissione sono l’esito – che appare rispondente all’esigenza di tenere in adeguata considerazione le ragioni e gli interessi alla base della scelta di introdurre, nel 2011, il comma 2-bis del Testo Unico dell’Edilizia, e del tentativo di riconoscere uno statuto giuridico autonomo, ed in qualche modo distinto da quello relativo ai cosiddetti appalti e contratti pubblici, alle cosiddette opere di urbanizzazione primaria funzionali alla realizzazione dell’intervento di trasformazione urbanistico-edilizia del territorio. Uno sforzo interpretativo sensibile alle argomentazioni di chi ha scritto ed ottenuto l’inserimento di quella norma, piuttosto che a quelle che militano a favore di un'applicazione regolare, e senza incertezze, del diritto UE nel nostro paese.

Alla luce di ciò c’è la possibilità, rectius il rischio, che il contenzioso si chiuda con la modifica – peraltro già annunciata alla Commissione ma non ancora effettuata stando a quanto riportato nelle conclusioni della lettera di costituzione in mora dedicate alla norma in questione - della Delibera ANAC n. 206/2018. Si dovrà verificare, in questo caso, che la riforma delle Linee Guida adottate dall’ANAC con la Delibera soprarichiamata sia ispirata all’interpretazione conforme al diritto UE dell’art. 16 comma 2-bis caldeggiata, da ultimo, anche da un parere del Consiglio di Stato del 24 dicembre dell’anno scorso, e non sia l’occasione per riproporre modalità di attuazione della norma non in linea con i principi e le regole comunitari.

Ma il lavoro non può dirsi ancora concluso. È ancora necessario continuare a sostenere, come è stato fatto già all’indomani della sua entrata in vigore, che l'art. 16 comma 2-bis del Testo Unico dell’Edilizia è una fonte inevitabile di condotte elusive, e che viene utilizzato e difeso per tentare di sottrarre una parte del comparto delle opere pubbliche dall’applicazione delle norme fissate dalla UE. C’è da sperare che nelle prossime settimane, visto l’approssimarsi del termine entro il quale le Autorità italiane dovranno far arrivare le loro osservazioni alla Commissione, ci sia spazio per un confronto, non soltanto tra i “chierici”, ma che maturi e si affermi il convincimento – all’origine dell’iniziativa di sensibilizzazione delle istituzioni nazionali e comunitarie portata avanti da chi scrive, dai deputati radicali eletti nella XVI Legislatura, dall’allora deputato del M5S Claudia Mannino nella legislatura successiva e come già ricordato dal consigliere comunale radicale Marco Cappato - che al nostro paese in generale, ed al comparto dei lavori pubblici, non serve una norma come il comma 2-bis.

Il Codice dei Contratti offre una molteplicità di strumenti e procedure per l’affidamento delle opere pubbliche, calibrati in funzione della rilevanza e del valore economico dei lavori da aggiudicare. Si utilizzino quelli senza continuare a difendere una sorta di zona franca (rispetto alle norme comunitarie) che il legislatore ha cercato di definire, in modo sibillino, nel 2011 senza che ciò – a distanza ormai di più 7 anni lo si può dire - abbia portato benefici dei quali si possono apprezzare la portata e la rilevanza per la collettività. E non si continui a sostenere senza fornirne alcuna apprezzabile evidenza - in questo caso davvero senza che si avverta lo sbandierato cambiamento - che sono le norme fissate dalla UE così come recepite con il Codice dei Contratti, e non il combinato disposto del quadro congiunturale, e ormai non solo congiunturale, e della crisi di affidabilità e credibilità del frastagliato quadro normativo e dei decisori pubblici, a bloccare e/o condizionare la vitalità del sistema delle imprese e l’ordinata esecuzione delle operazioni di trasformazione delle città e del territorio.