bar casamonica

Come nel caso dell’aggressione di Ostia al giornalista di Nemo, anche per le violenze dei Casamonica nel bar all’Anagnina l’arresto non è scattato a seguito della denuncia (in questo caso avvenuta un mese fa), ma a seguito della pubblicità mediatica del caso. Non si reprime ciò che avviene, ma ciò di cui si parla, e l’intervento non è proporzionale al reato ma al clamore che suscita.

A Ostia, lo scorso autunno, il piccolo “boss” locale Roberto Spada fu arrestato solo alcuni giorni dopo la pubblicazione del video che lo mostrava aggredire a testate e bastonate il reporter Daniele Piervincenzi, mentre il fatto fu denunciato il giorno stesso. Oggi addirittura si interviene con un mese di ritardo: “l'ordinanza cautelare, con la contestazione dell'aggravante del metodo mafioso a ben quattro indagati, prima volta a Roma, è stata eseguita in tempi non veloci ma fulminei” hanno dichiarato con meraviglioso candore gli inquirenti, ai quali non sarà sfuggita la straordinaria coincidenza temporale tra i loro “tempi non veloci ma fulminei” e l’esposizione pubblica del caso grazie al reportage di Repubblica.

Anche a Spada fu contestato il “metodo mafioso” per giustificare un arresto e una custodia cautelare che altrimenti - in termini di diritto - probabilmente non sarebbero stati sostenibili. Il copione è stato più o meno lo stesso: alla denuncia segue la normale prassi - e la prassi è spesso quella che chiunque abbia mai denunciato un reato, fosse anche il furto di un’auto, conosce, fatta anche di pigrizie investigative e ottusità burocratiche - e solo quando il caso arriva alla ribalta mediatica si corre alla ricerca di un escamotage che soddisfi la folla che invoca la galera e la condanna esemplare, senza distinguere troppo tra pena e custodia cautelare.

Casi in sedicesimo delle più luminose ribalte dei grandi teoremi giudiziari italiani, ma anche lì il motore dell'azione penale - nel paese in cui l'obbligatorietà dell'azione penale è divenuta un baluardo dell'arbitrio giudiziario - è sempre stato il favore di telecamera insieme al furor di popolo. La giustizia mediatica ha fatto al diritto danni simili - forse maggiori - di quelli che l’antipolitica e il populismo hanno inferto alla politica e alle istituzioni democratiche. E sono figli della stessa mamma, come evidenzia la straordinaria sintesi fatta (sul blog di Grillo, dove sennò?) dal Pm di Trani Ruggiero, promotore della farsesca inchiesta contro le Agenzie di Rating accusate di complotto contro l’Italia: “lì fuori c’era tutto un popolo silenzioso che sentivo straordinariamente vicino; uomini e donne che lottavano nel lavoro di ogni giorno, faticando e rischiando, soli anche loro, forse molto più di me. Era per quella gente semplice e silenziosa, il Popolo Sovrano, che dovevo farmi coraggio, resistere ed andare avanti in quell’ardua battaglia giudiziaria”.

Intanto un pensiero va a tutte le vittime di reati non “spettacolarizzati” adeguatamente, alle quali continua a essere garantita l’indifferenza e la lentezza della giustizia. Per prudenza, in certi quartieri, è opportuno girare sempre con uno smartphone acceso, e invece del numero dell’avvocato conviene avere a portata di mano quello di un giornalista. Non si sa mai.

@giordanomasini