Ventura propaganda

Lo Stato nel quale è oggi più facile acquisire la cittadinanza è lo Stato Digitale. E’ sufficiente un indirizzo mail e l’unico adempimento richiesto è la creazione di un profilo social, l’equivalente della carta di identità. E’ gratis. In cambio, il cittadino digitale devolve ad algoritmi segreti i propri dati: opinioni, consumi, relazioni, comportamenti privati, status economici, vizi, malattie, domicilio, composizione familiare, condizione professionale, profilo psicologico, attitudine al rischio, orientamento politico, religione e via così.

Questo patrimonio personale di informazioni intime ed indicatori analitici il cittadino digitale lo cede volontariamente, e i beneficiari - Facebook, Whatsapp, Google, Amazon - sanno farlo fruttare.

I miei dati insieme ai tuoi dati e ai dati degli altri miliardi di utenti diventano profili, modelli astratti cui matematicamente l’algoritmo associa un’azione, una reazione o una non-azione. Ad esempio acquistare un prodotto, votare un candidato, cascare in una catena di sant’antonio, essere pre-scartato ad una selezione professionale - e per questo basta non far apparire sulla tua timeline l’annuncio di lavoro.

Così è già oggi, e si sa. Si legge la storia della fake news, quell’altra di Putin che da Mosca coordina lo sconquasso elettorale globale - Trump, Farage, Le Pen, Casaleggio. Sì, la Casaleggio Associati è il Movimento 5 Stelle: una banca dati costruita sul blog per acquisire, trattare, manipolare il potere attraverso il patrimonio di informazioni acquisite dai lettori di Grillo, e governarlo con l’algoritmo segreto del software proprietario Russeau. Queste cose sono anche scritte sui libri - due recenti, sul tema: “Supernova”, Marco Canestrari e Nicola Biondo http://www.supernova5stelle.it/ e “Populismo digitale”, Alessandro Dal Lago.

Eppure non le colleghiamo al like che abbiamo appena messo al post dell’amico con cui ci troviamo sempre d’accordo, o ancor meno al fatto stesso di avere sul telefono la app di Facebook, Whatsapp, ecc. Quelle app non sono innocue e nemmeno gratis. Lo sappiamo ma non ci pensiamo.  Le app che abbiamo scaricato sul nostro telefono accedono al microfono, altre alle foto, altre ancora alla videocamera. Vuol dire che la nostra voce, le nostre foto, i nostri video sono anche di qualcun altro, che non sappiamo chi sia ma il cui business è vendere noi, il nostro profilo - che ha evidentemente un valore di mercato preciso.

La privacy come diritto esiste già. Ed esiste anche un principio di consapevolezza in noi utenti sull’uso ingegnerizzato di quello che vediamo o non vediamo sul web. Non esiste invece ancora il bisogno “commerciale” diffuso di protezione dall’uso non auto-governato e consapevole dei nostri dati. Privilegiamo ancora la gratuità monetaria della app rispetto al controvalore soggettivo delle informazioni personali cedute. Ci sembra tutto sommato di rimetterci poco e ci sembra in ogni caso impossibile potersi esonerare dal versare quell’obolo, i nostri dati, per la cittadinanza nello Stato Digitale.

Ma i profili personali sono merce. E il mercato dei dati, oggi fiorente nel dominio delle non-democrazie, arriverà a produrre presto conseguenze tangibili, individualmente, dai più. Il bisogno di protezione, di schermatura digitale, non sarà più prerogativa di terroristi, hacker, vip. Sarà un bisogno diffuso, sentito soprattutto da chi più ha da perdere - in riservatezza e conoscenza - di fronte alla unica legge del web: fare clic e non dire come. Il come invece è fondamentale, perché da come l’algoritmo ci profila dipenderà il premio assicurativo, la candidatura a un lavoro, le informazioni cui si ha accesso. Persino gli amici.

Se il bisogno di privacy, da elitario diventerà diffuso, gli indirizzi normativi dovranno incoraggiare, favorire, presidiare l’efficienza e la trasparenza del mercato che si genererà, perché non sia la solita Apple l’unica a sfornare per tempo prodotti privacy-friendly, a beneficio di chi potrà permetterseli. Il mercato resterà dominato dallo scambio dati personali/servizio gratuito. Non sarà banale quindi garantire il diritto alla privacy a tutti senza dover necessariamente convertire il prezzo in dati in prezzo in moneta, passare cioè da “dati in cambio di servizio gratuito” a “denaro in cambio di servizio a pagamento”.

Il diritto ad una vita non condizionata da un algoritmo rischia di diventare un privilegio per ricchi mentre ai poveri lo Stato Digitale continuerà a dire cosa comprare, cosa conoscere, cosa pensare. E questo, per la libertà individuale e la democrazia, è un costo insostenibile.

@kuliscioff