mussolinihitler

A circa un anno di distanza dalle polemiche sul cosiddetto “reato di negazionismo”, si torna a parlare in Italia di reati d’opinione, e in questo caso di un reato già sanzionato dal nostro codice penale come l’apologia di fascismo. A scatenare il dibattito l’episodio della spiaggia fascista di Chioggia, cui è seguita la proposta di legge di Emanuele Fiano (Pd) che intende restringere ulteriormente i margini entro cui è possibile esibire simboli o gestualità che si richiamano al regime mussoliniano.

Sulla questione di principio s’è detto di tutto è di più. “È una legge liberticida”, hanno gridato da un lato. “Liberticida era il regime!”, hanno risposto dall’altro, sottintendendo che se certi simboli appartengono a un regime macchiatosi di gravi violazioni dei diritti individuali, il divieto di quei simboli non costituisce una violazione della libertà individuale.

D’altro canto – come su queste pagine ho suggerito in passatoquello di libertà d’opinione non può essere considerato un principio condizionale. Non si può essere liberi di esprimere la propria opinione “a patto che”. Una libertà di opinione che si applichi solo alle opinioni considerate "giuste" non è libertà d'opinione affatto.

Ma allora si può dire proprio tutto? La libertà di parola non dev’essere soggetta ad alcun limite? In un classico della tradizione libertaria Walter Block si chiedeva se fosse lecito urlare “al fuoco!” all’interno di un teatro. Le parole non sono ornamenti, hanno un effetto concreto sul mondo, e la distinzione tra parola e azione, quand’anche possibile, sarà sempre imperfetta. Ma il principio guida, per chi ha a cuore la libertà, deve sempre essere la distinzione fra coercizione e non coercizione. Per quanto sgradevoli, la vendita di gadget inneggianti al Duce, il saluto romano e altre espressioni consimili, purché non accompagnate da gesti intimidatori o vere e proprie aggressioni – come le vergognose ronde di Casa Pound contro gli ambulanti di Ostia – sono atti sì sgradevoli, ma non coercitivi (come possono invece essere la minaccia o lo stalking).

Siamo dunque condannati ad accettare anche manifestazioni xenofobe, razziste, omofobe e discriminatorie in generale? Come in altri casi, l’illusione è credere che un comportamento immorale sparisca semplicemente perché penalmente sanzionato dallo Stato. In pochi saranno convinti ad abbandonare le proprie opinioni fasciste perché lo stato ha detto che "non si fa".

Ma la società, fortunatamente, conosce forme non coercitive di sanzione delle opinioni discriminatorie, molto più efficaci nel lungo periodo. Nessuno di noi ama circondarsi di persone intolleranti, apertamente razziste o omofobe. Le imprese, e specialmente i grandi marchi, tendono ad affermare come proprio principio l’eguale trattamento delle minoranze e il rifiuto di ogni forma di discriminazione. Una casa editrice che voglia mantenere un pubblico e una credibilità non darà mai spazio a chi sostiene l’inferiorità delle popolazioni africane. E ciò avviene senza bisogno di divieti, bensì sotto la spinta dell’opinione del pubblico. Nel lungo termine, le opinioni discriminatorie non pagano. E dove non arrivano le sanzioni sociali e gli strumenti culturali, difficilmente arriverà il legislatore.

Prerogativa della società aperta è accettare al proprio interno un pluralismo idee che dittature e totalitarismi, incluso quello fascista, non ammettevano. In ciò sta la sua forza. Le idee, a cominciare da quelle che consideriamo immorali, funzionano come dei vaccini: se non vengono inoculate, è impossibile per l’organismo sviluppare una cura.

 

Sulle dispense stava scritto un dettaglio che alla prima lettura mi era sfuggito, e cioè che il così tenero e delicato zinco, così arrendevole davanti agli acidi, che se ne fanno un solo boccone, si comporta invece in modo assai diverso quando è molto puro: allora resiste ostinatamente all'attacco. Se ne potevano trarre due conseguenze filosofiche fra loro contrastanti: l'elogio della purezza, che protegge dal male come un usbergo; l'elogio dell'impurezza, che dà adito ai mutamenti, cioè alla vita. Scartai la prima, disgustosamente moralistica, e mi attardai a considerare la seconda, che mi era più congeniale. Perchè la ruota giri, perchè la vita viva, ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale. Ma neppure la virtù immacolata esiste, o se esiste è detestabile.

[...]

sono io l'impurezza che fa reagire lo zinco, sono io il granello di sale e di senape. L’impurezza, certo: poiché proprio in quei mesi iniziava la pubblicazione di “La Difesa della Razza”, e di purezza si faceva un gran parlare, ed io cominciavo ad essere fiero di essere impuro.

Primo Levi, Il sistema periodico