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Autorizzare decisioni pubbliche sulla base di principi religiosi indimostrabili è un'ottima strada per acuire la conflittualità sociale: perché non riprendere allora, come criterio di scelta nella progettazione delle policy, il dettato di tutte le religioni? Vietiamo la pizza al prosciutto perché non kosher, consentiamo il burqa alle donne musulmane, in deroga a leggi dello Stato, vietiamo il consumo di carne tutti i venerdì eccetto le solennità. Siamo contrari ad accontentare i musulmani? Creeremo in loro una legittima sensazione di ingiustizia, derivante da un trattamento visibilmente discriminatorio.

Il pluralismo religioso è un fatto recente, ma è un fatto, e il modo migliore per gestirlo consiste nel ridurre le leggi che recepiscono divieti religiosi. Può sembrare strano, ma di questo stiamo parlando: evitare che la legge dello Stato italiano recepisca un divieto religioso. Prendendo la cosa anche da altre prospettive, dobbiamo porci alcune domande scomode e provare a rispondere con rispetto per chi si trova a vivere situazioni di straordinaria durezza e complessità.

Primo: qual è il pubblico interesse che deriverebbe dall’obbligare a rimanere in vita chi ha smesso di desiderare di vivere? La “resistenza in vita” di chi non vuole vivere è un esempio civile, un modello da cui trarre ispirazione per una migliore convivenza sociale? No davvero. Si può essere a buon diritto stanchi di soffrire, si può essere essere stanchi di non poter dare ai propri cari quello che si è riusciti a dare in passato. Non siamo tutti eroi e abbiamo diritto di vivere la nostra medietà, la nostra debolezza e di arrenderci alla sofferenza. Al contrario, ammettere le proprie debolezze aumenta l’empatia tra le persone: come nelle relazioni di coppia, evitare le ipocrisie, accettarsi per quello che si è, sono segnali di maturità e migliorano la propria autostima.

Secondo: impedire l’eutanasia è forse un "segnale" per ribadire che ogni vita è importante? Ci serve davvero questo segnale? La vita viene irrisa quotidianamente in milioni di modi: con l’analfabetismo, l’arroganza, la povertà estrema, le malattie evitabili (si pensi al rifiuto ostinato da parte di molti per i vaccini), lo sfruttamento della prostituzione ecc. La vita è stata merce per secoli: schiavi, servi della gleba, figli da mandare in fabbrica; il valore della vita umana è conquista recente, frutto dolce del benessere, e le politiche demografiche più intelligenti ne sono una conseguenza. Il riconoscimento del diritto all’aborto, ad esempio, rinforza la percezione che la vita meriti dignità per essere goduta.

Terzo: sostenendo il diritto all'eutanasia mortifichiamo la dignità della vita nella disabilità? Tutt’altro. Molti disabili soffrono i problemi di tutti: la difficoltà di accettazione, la mancanza di piacere, la difficoltà di scegliere il proprio percorso di lavoro e di vita, il proprio partner. Se li consideriamo come persone, e non come proiezioni del nostro pietismo, è necessario accettare il fatto che, esattamente come noi, siano liberi di ritenere la propria vita degna o meno di essere vissuta. La concezione per cui una vita di sacrifici sia eticamente più dignitosa è, ancora una volta, di origine religioso: funziona con santi e martiri, non con le persone.

Quarto: l’eutanasia indurrà un aumento dei suicidi? Ci sarà "libertà di morire" se malati di depressione? Legittimo dubitarne. Vietare l’eutanasia per evitare i suicidi ha la stessa efficacia di vietare la vendita di marijuana per evitarne il consumo: così come c’è lo spacciatore, c’è la metropolitana, ci sono le finestre, il fucile da caccia di nonno, le lamette da barba. Il “costo” del suicidio sarebbe più basso? Forse, ma comunque bisognerebbe intervenire a monte, sulle ragioni che inducono al suicidio. Il problema dei depressi non è se sia più o meno difficile togliersi la vita, ma il fatto che spesso la loro condizione non viene riconosciuta né tantomeno curata. Un percorso psicologico obbligatorio per chi richiede l’eutanasia potrebbe, paradossalmente, salvare più vite di quanto non faccia il “divieto di eutanasia”.

Quinto: Dj Fabo è un caso esemplare? No. Dj Fabo era semplicemente Dj Fabo: esistono mille modi per vivere, mille ragioni per vivere, e altrettante per morire. Il fatto che qualcuno non capisca le ragioni per Tizio di farla finita, non significa che Tizio non abbia il diritto di scegliere. Se entriamo in questo ginepraio, la conseguenza, grave e paradossale, è una perdita di libertà che può essere estesa ovunque: non capisco la ragione per cui ami una persona del tuo sesso, e te lo impedisco. La democrazia è rispetto e tutela di ciò che non si capisce.

E quindi, in conclusione? Occorre evitare che la decisione ultima venga presa da terzi, facendo sì che sia vincolata a documenti legalmente validi o a modalità di espressione della volontà scientificamente riconosciute, e occorre introdurre percorsi psicologici di assistenza per chi richiede l'eutanasia. Per quanto la scrittura della legge presenti alcuni elementi di complessità, soprattutto in merito all’espressione della volontà dell’individuo, non si può argomentare, come purtroppo avviene sovente, in favore o meno di una legge sulla base delle difficoltà di stesura.

Ma prima di ogni altra cosa dobbiamo avere chiaro che il focus del dibattito pubblico deve rimanere centrato sul diritto e sulla libertà.