Ma quale combinato disposto! Se vince il Sì l'Italicum andrà dritto alla Consulta
Diritto e libertà
Nella discussione pubblica sul referendum costituzionale vi è, tra i tanti, un argomento usato dal fronte del No palesemente immaginario: l'aumento di poteri del Presidente del Consiglio (anzi, nella propaganda, di Matteo Renzi in persona). Non c'è un solo elemento che possa ragionevolmente portare a questa conclusione. I poteri formali del premier non cambiano di una virgola. Quelli "sostanziali"? Nemmeno.
Il voto a data certa dei disegni di legge giudicati essenziali per l'attuazione del programma di governo è una misura di razionalizzazione e trasparenza dei lavori parlamentari, ma sarà sempre la Camera ad autorizzare la procedura e il voto finale avverrà sul testo eventualmente modificato a Montecitorio, non su quello proposto dal Governo. Questo strumento, inoltre, rafforzerà nella sostanza la posizione del Presidente della Repubblica nello scrutinio sui decreti legge e sulla loro effettiva "necessità" ed "urgenza". A questo si aggiunge che il Quirinale sarà più libero e meno costretto dai tempi anche nel giudizio sulle leggi di conversione dei decreti legge, che se rinviate dal Capo dello Stato per una nuova deliberazione dovrebbero essere convertite entro un termine differito di 30 giorni.
Anche l'argomento del "combinato disposto" con l'Italicum (che pure io sostituirei con un sistema basato sui collegi uninominali) è fallace. Prima di tutto perché la maggioranza di 340 deputati assicurata al partito vincitore è identica a quella attuale, che peraltro si conquistava senza ballottaggio. Venticinque parlamentari di maggioranza sono pochissimi, anche perché la storia delle ultime legislature insegna che già con le liste bloccate i grandi partiti italiani hanno una vivace dialettica interna fatta di scontri e divisioni, figuriamoci con le preferenze. Peraltro, nella pratica mi sembra acquisito che l'Italicum sia destinato a cambiare (in meglio o in peggio è da vedere). Infatti, la discussione tra le forze politiche e all'interno del PD ormai non è più sul "se", ma sul "come" modificare la legge elettorale.
Ma anche ipotizzando che dopo il referendum le camere non trovino un accordo sulla modifica e i ricorsi oggi pendenti siano dichiarati inammissibili, è proprio la nuova Costituzione (in specifico, l'undicesima disposizione transitoria) a garantire con assoluta certezza un giudizio di costituzionalità sull'Italicum da parte della Consulta, su richiesta di un quarto dei deputati o di un terzo dei senatori. Insomma - checché ne dicano i suoi nemici - è proprio la riforma costituzionale a scongiurare il rischio di un "combinato disposto" incostituzionale tra le norme della Carta e la legge elettorale. Al massimo 40 giorni dopo la vittoria del Sì avremmo il giudizio della Corte: dunque, ragionevolmente, entro la metà di gennaio. Se fossero vere le critiche, che si basano sulla recente sentenza anti-Porcellum, il giudizio della Corte Costituzionale nella sua terzietà sistemerà le cose.
Paradossalmente, invece, la vittoria del No, e un eventuale precipitare verso il voto anticipato, potrebbe portare all'utilizzo dell'Italicum alla Camera e del Consultellum al Senato, con esiti imprevedibili ma sicuramente caotici.
Con il Sì i poteri del Presidente del Consiglio né cambieranno, né aumenteranno e resteranno di gran lunga inferiori a quelli assegnati al Primo ministro nell'archetipo di tutti i sistemi di governo parlamentari, quello britannico. Mentre noi discutiamo in modo clamorosamente infondato della fine del parlamentarismo italiano, a Westminster è stato necessario ricorrere all'Alta Corte per sapere se un Primo ministro "non eletto" (tale verrebbe considerata da molti in Italia Theresa May, incoronata premier a maggioranza dal gruppo parlamentare dei Tories e non dagli elettori che avevano votato i conservatori allora guidati da Cameron) dovesse o no portare al voto del Parlamento la strategia per la Brexit dopo il referendum "consultivo" del giugno scorso. L'attuale Primo ministro pensava che una decisone storica per il Regno Unito potesse essere gestita dall'esecutivo senza che il parlamento avesse voce in capitolo. Sconfessata dall'Alta corte di Londra, Theresa May ha annunciato ricorso per ribaltare questa decisione, che potrebbe rendere il percorso verso la sua "hard Brexit" impervio fino all'impossibile, difendendo la sua idea del primato del Primo ministro sul Parlamento.
Si tratta solo di un esempio, di un argomento in più per capire quanto farlocca e propagandistica sia la denuncia della natura potenzialmente "autoritaria" della nuova Costituzione e l'accusa al fronte del Sì di volere di fatto decretare la fine del parlamentarismo italiano. Che non gode di salute eccellente, ma per motivi evidentemente pre-esistenti, cui la riforma si propone di porre rimedio.