salvinipresepe

Qualche settimana fa, quelli in classe con mio figlio che non fanno religione, hanno preso una nota. Gli altri, quelli che fanno religione, erano fuori per una visita all’Expo. I puniti avrebbero dovuto stare in classe per una sola ora di lezione. La gran parte dei docenti erano ad accompagnare "quelli di religione" (3 classi), così gli altri studenti hanno deciso di autoridursi l’orario e di comunicarlo all’unico professore presente.

L’incaricato della comunicazione se n'è dimenticato: di qui la nota. Il coordinatore di classe a cui ho chiesto il motivo di una visita all'Expo riservata a "quelli di religione" mi ha risposto che dietro a quella visita c’era stato un lungo discorso preparatorio e che il caso aveva però fatto molto discutere il corpo insegnante. Parallelamente ho appreso che altre iniziative sono previste per i soli frequentanti le lezioni di religione. Un’evidente azione di uso “aggressivo” dell’ora di religione: “se vieni con noi ti diverti, se resti fuori ti tocca il bidello”. 


Non voglio indugiare su questa piccola vicenda, che torna però utile per introdurre un tema più vasto che mi sta a cuore. 
La crisi mediorientale, le bombe e gli spari di Parigi, ci hanno fatto rinserrare le fila intorno ai principi ed alla cultura che supportano l’Occidente. Ovviamente questo ha prodotto una più chiara difesa delle nostre origini culturali - cristiane dico - anche da parte di chi, come me, si professa ateo. Come non farlo, del resto, quando si assiste, in giro per il mondo, a molte ed insopportabili violazioni dei diritti umani di donne e uomini che si professano cristiani, spesso fino all'omicidio?

Tuttavia questa situazione non può farci scordare che la nostra cultura non porta con sé solo i valori del cristianesimo, ma quelli della laicità e delle libertà individuali, dei diritti conquistati nel tempo, della tolleranza, del dialogo, del confronto, della convivenza. È questo raffinato comporsi che dobbiamo difendere e non il solo cristianesimo. L’Occidente è tale perché ospita, nel suo complesso sistema di valori e di istituzioni, anche il cristianesimo. Ma noi tutti siamo altro e molto di più di quanto non sia la Chiesa, e non è passando per il ritorno a un suo ruolo più invasivo nella nostra società che ci salveremo dall’Isis, anzi.


I "nostri valori" non sono quelli della nostra tradizione religiosa, ma del nostro modo di garantire, in modo del tutto originale, il rapporto tra il massimo di libertà religiosa (non subordinata a vincoli o autorizzazioni politiche) e il massimo di libertà politica (non condizionata da valori o obbedienze religiose). La cultura dei diritti umani, dell'autonomia individuale, della limitazione dell'arbitrio del potere sovrano e della salvaguardia della libertà e della dignità personale ha trovato in Occidente una concretizzazione storica che, condivide, con la dottrina cristiana, una certa vocazione universalistica, ma che non si identifica con essa.


L'Occidente che dobbiamo difendere è quello della libera Chiesa, in quanto parte del libero Stato. Questo è il piano di discussione e di negoziazione con l'Islam italiano ed europeo. Il diritto alla libertà religiosa è un diritto di libertà individuale, non una prerogativa di gruppo o di comunità e meno che mai "di maggioranza". 
Alla luce di questa idea di libertà religiosa dobbiamo anche capire quale sia il problema islamico che abbiamo dinanzi e come ci minacci. Lo scrive chiaramente e molto laicamente Adonis: «Nel seno dell’Islam c’è l’Islam, mentre il Cristianesimo comprende varie confessioni, cattolica, protestante, ortodossa. ... Per questo non c’è spazio per arte e poesia tra gli ortodossi, c’è soltanto la giurisprudenza. La cultura del potere e della sua conservazione, a qualunque costo. L’Islam nasce proprio come religione di conquista... Io non sono contro le religioni individuali. L’uomo ne ha bisogno, per gestire il suo rapporto con l’aldilà. È un diritto e lo rispetto. Mi oppongo invece a una religione istituzionalizzata, imposta politicamente e culturalmente a un’intera società, come avviene in Iran, in Arabia Saudita, negli Stati teocratici. La teocrazia è l’esatto opposto della democrazia, che esige il riconoscimento della diversità, la pluralità, la libertà di fede e di pensiero. Bisogna lottare perché la religione diventi una questione personale, che impegna soltanto il credente.»


D'altra parte, non deve neppure sfuggirci che le principali ragioni di diffusione del fanatismo islamista potrebbero non essere religiose, anche se religiosa è la loro maschera e il loro pretesto. Sono convinto che sia solo una (f)utile motivazione per dare senso e bersagli esemplari alla rivolta di giovani che sono ribelli (o alienati) per età, vitalità e storia personale e sociale. La jihad e il suo credo semplificato è un approdo ideale "facile" e eroico proprio perché nichilistico. E questo approccio vale sopratuttutto per quanto accade nelle banlieue europee. Come ha scritto Roy, quella che abbiamo davanti potrebbe non essere "una radicalizzazione dell’islam, ma un’islamizzazione del radicalismo".


Viceversa nei paesi arabi e islamici, dove i numeri in gioco motivano ben più profondamente le ragioni dello scontro (almeno un miliardo di persone è coinvolto in questa lotta di potere), siamo in presenza di un processo di creazione di nazioni che sin qui non erano definite, ma solo raccolte dentro confini tracciati con il righello e governati col manganello e col fucile. Questo processo, che risulta ormai come il più cruento in corso, è simile a quello che ha accompagnato il crollo dell’Unione Sovietica. È un processo di ridisegno complessivo dei rapporti di forza tra classi dirigenti e nuovi soggetti che si affacciano alla ribalta del potere. 


Per fronteggiare queste tensioni interne ed esterne occorre che "noi" (pronome che designa manifestamente una dimensione comune, di cui tra "noi" abbiamo idee molto diverse) non si rinunci alle peculiarità culturali del nostro modello di convivenza. La para-clericalizzazione difensiva delle istituzioni culturali e sociali (non auspicata forse neppure dalla Chiesa) è a questi fini non solo inutile, ma dannosa. Come ha scritto bene un amico: non vorrei che dopo il presepe obbligatorio si passasse a considerare la confessionalizzazione coatta della scuola come la vera trincea della lotta al terrorismo islamista.