fosbury grande

Da adolescente Dick Fosbury non sembrava tagliato per lo sport, men che meno per il salto in alto. Cominciò con l’atletica un po’ per caso e con risultati scadenti. Sia con la tecnica tradizionale “a forbice” sia con la “ventrale” (diventata con il tempo prevalente) le prestazioni di Fosbury non miglioravano. Qualcuno ha scritto che fosse stato definito dai compagni di scuola “il peggior saltatore di sempre”, ed è vero che l’allenatore gli consigliò di dedicarsi ad altro, come la corsa o il salto triplo. Lui però decise di insistere.

Non solo, studente di ingegneria all’università dell’Oregon tentò di applicare al salto le nozioni apprese sui banchi di scuola, visto che lì se la cavava meglio.

Aveva notato che saltando “a forbice”, mentre le anche si sollevavano le spalle arretravano e la schiena passava più facilmente sopra l’asticella. Si rese conto che torcendosi un po’ prima del salto e inarcandosi con la schiena si riusciva a salire molto di più.

Con quella tecnica del tutto inedita, a scavalcamento dorsale, migliorò immediatamente il suo personale di una decina di centimetri e continuò a migliorare nel tempo. Lo scetticismo degli osservatori non venne meno, perchè era letteralmente l’unico a saltare in quel modo, ma quando si guadagnò l’ultimo posto disponibile per le Olimpiadi del 1968 cominciarono a prenderlo sul serio.

Quello che fece poi a Città del Messico è storia, come è noto che la sua epopea sportiva durò poco. Alla fine del 1969, a soli ventidue anni, Fosbury concluse la carriera sportiva e proseguì gli studi: prese una laurea in ingegneria civile e si trasferì poi in Ohio, dove lavorò in ambito urbanistico. Non scomparve del tutto dai radar, concedendo di tanto in tanto qualche intervista, ma di fatto si ritirò a vita privata.

Più o meno nel momento in cui Fosbury smetteva di saltare, nell’altra “metà del mondo” - l’allora Unione Sovietica - un ragazzino di appena dieci anni stava inziando. Si chiamava Vladimir Yashenko, ucraino di nascita, e a differenza del giovane Fosbury dimostrò da subito di avere un certo talento per quella disciplina.

Il guru Dyatchkov, che lo allenava, non vedeva di buon occhio le innovazioni occidentali, così Yashenko continuò a saltare con la tecnica ventrale, benché nel frattempo fosse diventata obsoleta a scapito proprio di quella dorsale: ribattezzata Fosbury in onore del suo inventore. Il ragazzo era talmente forte da rendere secondaria ogni questione stilistica.

La sua fama crebbe rapidamente: a soli diciassette anni aveva già quasi eguagliato il record di Fosbury e a diciotto stabilì il nuovo record del mondo, con la misura di 2.33 m. Sembrava l’inizio di una lunga serie di vittorie, e il 1978 fu in effetti un anno di successi e nuovi record, dai campionati europei indoor di Milano a quelli all’aperto di Praga.

Dieci anni dopo Città del Messico la storia sembrava aver riportato indietro le lancette. Yashenko era l’esatto opposto di Fosbury: lo era per storia, per cultura, per attitudini, ma lo era soprattutto per le scelte in pedana. Tutti gli atleti ormai usavano lo stile dorsale, i cui vantaggi prestazionali erano pacifici. A Yashenko questo però non sembrava interessare, continuava a fare come aveva sempre fatto, come gli aveva insegnato Dyatchkov.

Si potrebbe dire che fosse un conservatore, ma a suo modo ostinato come lo era stato Fosbury da innovatore.

Le cose cambiarono per lui nel 1979, quando si ruppe i legamenti crociati e iniziò un calvario purtroppo senza lieto fine. Non partecipò alle Olimpiadi di Mosca, e anche successivamente non riuscì più a riprendersi. I risultati e le misure di prima ormai erano chimere, ma neppure la sopraggiunta difficoltà lo smosse dal continuare a saltare nell’unico modo che conosceva o che forse riteneva possibile: un ventrale anacronistico che ormai poteva solo penalizzarlo. Si ritirò a ventitré anni e non per scelta, a differenza di Fosbury.
Morì a quarant’anni, prima del duemila, nel sostanziale anonimato.

Ho voluto ricordare insieme queste due storie - nel giorno della scomparsa di Fosbury - perchè raramente si ritrovano vicende così opposte e tuttavia speculari. Fosbury e Yashenko hanno vissuto esperienze simili eppure completamente differenti, non soltanto nel periodo agonistico. Le loro parabole personali danno un significato originale a concetti come libertà, destino, talento, perseveranza; e spiegano bene il valore del contesto sociale in cui - non per merito proprio - ci si trova a crescere.

La storia di Fosbury che si ostina a cambiare le regole è la premessa stessa di quella di Yashenko, che si ostina a non cambiarle.
Proprio per questo, come detto, credo avesse senso raccontarle insieme.