Fini e il Piazzale Loreto della destra
Terza pagina
Eccola qui la destra che si mette in fila a Piazzale Loreto, ma stavolta dall'altra parte, dalla parte di quelli che sputano sul morto. Uno spettacolo interessante sotto il profilo antropologico, anche perché – grazie a dio – il morto è metaforico, non è proprio morto, solo politicamente morto, e quindi se ne può scrivere senza le cautele che richiederebbe una salma vera e propria.
Sto parlando come è ovvio di Gianfranco Fini, finito nell'imbuto di un'inchiesta per riciclaggio, costretto ad ammettere che sì, sapeva fin dal 2010 che la famosa casa di Montecarlo era del cognato, sottoposto a un sequestro cautelativo di ingenti cifre, e quindi pubblicamente lapidato dai giornali e dai politici di centrodestra. Ai quali non basta veder lui penzolare esposto ai corvi, ci vorrebbero vedere anche i suoi vecchi compagni di strada e chi ne parlò bene: ci piace di più Fini a testa in giù, ma anche, potendo, Saviano, D'Avanzo, Napolitano, Santoro, Della Vedova, Mentana, Travaglio, Granata e anche la sottoscritta (l'elenco è stato fornito da Alessandro Sallusti sul “Giornale” di oggi).
La destra che corre a Piazzale Loreto, ma stavolta dall'altra parte, non è una cosa nuova. L'oltraggio all'ex-capo nella polvere é in perfetta sintonia con l'ideologia dell'arroganza verso i senza potere, i deboli, i poveracci, chi non può difendersi, e della rancorosa ricerca di capri espiatori per giustificare i propri errori. Si sputerà sul morto con lo stesso spirito maramaldo con cui si incita ad affondare barconi di disperati, a dare il Daspo ai barboni, ad arrestare disgraziati che rovistano nei rifiuti, a bocciare i figli dei poveri, a bandire chi non ce la fa come elemento di disturbo, incapace, immeritevole, a giudicare il volontariato spazzatura, la solidarietà sociale “buonismo”, le regole “lacciuoli”. E sputando sul morto questa destra si sentirà una volta tanto vincitrice, dopo tante batoste: sì, avevamo ragione noi, lo stronzo è lui. La colpa è sua.
Anche per questo c'è una vera folla, da giorni, in fila per lo sputo di rito su Gianfranco Fini, gareggiando a chi sputa di più e più lontano. La gara l'ha vinta Francesco Storace, invitando pubblicamente al suicidio il leader di cui fu portavoce per anni, e che lo fece ministro. Segue a ruota Marcello Veneziani ("Fini, il padre padrone di An, una sigla che evoca solo un'infamia e un fallimento") col suo sputo intellettuale, da ex membro del Cda Rai “in quota Fini”, quindi più denso e sapido di quello degli ex-qualsiasi cosa che fanno massa su Fb gridando “Dagli al puzzone”. Bravi. Mille anni a rivendicare il rispetto per i vinti e l'infamia dell'oltraggio ai morti, e ora tutti lì a spingere per aggiudicarsi un selfie con l'impiccato.
Alessandro Sallusti su “Il Giornale” non fa che dare corpo a questo sentimento della destra, da abile giornalista di destra qual è. Ma siccome Fini non è sufficiente, e a quanto pare la piazza ha bisogno di altra carne da appendere, fa l'elenco dei "complici di Gianfranco" e chiede a tutti pubbliche scuse per i giudizi ostili dati a suo tempo verso la campagna sulla casa di Montecarlo.
Personalmente, mi scuso volentieri. Non era una macchina del fango, era un'occhiuta inchiesta su un avversario politico, e l'inchiesta aveva fondamento. Ma aveva fondamento anche, in quel passaggio politico, l'idea che il gran circo del “Giornale” e di “Libero” fosse messo su per decapitare un leader che si era ribellato a Silvio Berlusconi, che lui e non altri fossero stati scelti come bersaglio, proprio in quel momento, per una pressante necessità politica. Ora ne sappiamo di più. Ora è tutto in mano alla magistratura. L'esecuzione è compiuta. Il popolo della destra ha avuto pure il suo metaforico Piazzale Loreto. Ci si può accontentare, o ancora non basta?