hony

Humans of New York, per brevità HONY, è un fenomeno editoriale nato su Facebook. Il concetto è semplice: foto di persone qualunque, fatte per strada nella città di New York, ognuna con una didascalia che riporta una frase, una battuta o un discorso del fotografato.

Dall'aforisma alla storia strappalacrime, sono migliaia le vicende che la pagina di HONY, dalla sua fondazione, ha raccontato: c'è chi la ama per il suo taglio intimista e sociale allo stesso tempo, chi la odia trovandola eccessivamente zuccherosa, chi le dà uno sguardo ogni tanto, per aggiornarsi sull'ultima tendenza hipster, chi la imita, con alterne fortune, in altre città, chi ne fa parodie più o meno riuscite. Sta di fatto che, coi suoi oltre 15 milioni di like, Humans of New York è una delle pagine di maggior successo e più seguite al mondo. Adesso esiste anche un sito Internet che ne raccoglie le storie.

Il suo fondatore, da qualche tempo, ha deciso di uscire dai confini newyorkesi e americani, sfruttando la popolarità ottenuta per raccontare le vite di persone meno fortunate, anzi, per farle raccontare a loro in prima persona. In questo periodo, in particolare, Brandon (si presenta così, senza cognome, come tutti i suoi protagonisti) ha deciso di trasferirsi temporaneamente in Europa per ascoltare e riportare sulla pagina storie di rifugiati che rischiano la vita per arrivare nel nostro continente e per attraversarlo.

La storia di Muhammad comincia nell'estate 2014, quando Brandon lo incontra nel Kurdistan iracheno. "All'epoca" racconta "era appena riuscito a fuggire dalla guerra in Siria e lavorava nell'hotel dove ero alloggiato. Quando è scoppiata la guerra studiava letteratura inglese all'Università di Damasco, e il suo inglese era praticamente perfetto. Ci mettemmo d'accordo e lo "assunsi" per farmi da interprete; abbiamo passato molti giorni a fare interviste a rifugiati che fuggivano dall'avanzata dell'ISIS. Quando ci salutammo, pensavo che presto si sarebbe messo in viaggio alla volta del Regno Unito, con documenti falsi. Racconto tutto questo perché oggi ho appena ritrovato Muhammad. Lavorerà ancora con me, come interprete, nei prossimi giorni. Il racconto, fatto da lui, di quello che gli è successo da quando ci siamo incontrati è davvero tragico".

Ed ecco, senza ulteriori commenti, le parole di Muhammad, prima quelle dell'agosto 2014 e poi quelle di oggi.

"La guerra ha cominciato a volgere al peggio. Quando ho lasciato la Siria per venire qui, avevo solo 50 dollari. Quando sono arrivato, li avevo praticamente finiti. Ho incontrato un uomo, per la strada, e lui mi ha portato a casa sua e mi ha dato da mangiare e un tetto sulla testa. Ma io mi vergognavo troppo di vivere nella sua casa senza far nulla, quindi passavo 11 ore al giorno in giro, a cercare lavoro, e tornavo solo per dormire. Alla fine ho trovato lavoro in un albergo: mi facevano lavorare 12 ore al giorno, 7 giorni alla settimana, e mi davano 400 dollari al mese. Ora ho trovato un altro albergo dove mi trattano molto meglio: lavoro 12 ore al giorno, mi pagano 600 dollari al mese e ho un giorno libero a settimana. Nel resto del tempo insegno inglese in una scuola. Lavoro 18 ore al giorno, tutti i giorni. Non ho speso niente, neanche un soldo. Non mi sono comprato nemmeno una maglietta nuova. Ho messo da parte 13000 euro, la cifra che mi serve per acquistare un documento falso. Conosco un signore che per 13000 euro mi porterà in Europa. Parto la prossima settimana. Prima devo tornare in Siria un'ultima volta, per salutare la mia famiglia, poi mi lascerò tutto questo alle spalle. Cercherò di dimenticare tutto e completerò la mia istruzione".
(Agosto 2014, Kerbil, Iraq)

L'avanzata dell'ISIS
"Prima di partire per l'Europa tornai, come avevo detto, in Siria, per rivedere la mia famiglia. Per tutto il tempo in cui sono stato lì, ho vissuto nel fienile di mio zio, perché tutti i giorni la polizia si presentava a casa di mio padre. Alla fine proprio mio padre mi ha detto "Se rimani ancora qui, ti troveranno e ti uccideranno". Dunque ho contattato un trafficante e sono riuscito ad arrivare a Istanbul. Stavo partendo per l'Europa, quando mia sorella mi ha chiamato. Mi ha detto che nostro padre era stato massacrato di botte dalla polizia, e che sarebbe morto, a meno che io non fossi riuscito a fargli arrivare 5000 euro per operarsi. Quelli erano i soldi con cui dovevo arrivare in Europa, ma che potevo fare? Non avevo scelta. Poi, due settimane dopo, mia sorella mi ha richiamato, e stavolta le notizie erano ancora più brutte: mio fratello era stato ucciso dall'ISIS mentre lavorava in un'area petrolifera. Avevano trovato il suo indirizzo sui documenti e avevano spedito la sua testa a casa nostra, con un messaggio: "I Curdi non sono musulmani". A trovare la testa di nostro fratello è stata nostra sorella più piccola. Questo è successo un anno fa. Da allora non ha più parlato, non ha più detto neanche una parola". (2015, Kos, Grecia)

La fuga in Turchia
"Per due settimane non sono riuscito a fermare le lacrime. Niente aveva più senso. Perché alla mia famiglia era successo tutto questo? Avevamo sempre agito correttamente, sempre. Eravamo sempre stati onesti con tutti, avevamo sempre rispettato i nostri vicini, non avevamo mai fatto niente di sbagliato, niente d'importante almeno. A quel punto ero sotto una pressione terribile. Mio padre era in terapia intensiva, e ogni giorno le mie sorelle mi chiamavano e mi dicevano che l'ISIS si stava avvicinando al nostro paese. Impazzii completamente. Un giorno svenni per strada e mi risvegliai in ospedale. Diedi il grosso dei soldi che mi rimanevano a un trafficante perché aiutasse le mie sorelle a fuggire in Iraq. Ora mi rimanevano solo 1000 euro, ed ero bloccato in Turchia. A quel punto, mio padre si riprese. Mi chiamò e mi domandò come fossi riuscito a pagare per la sua operazione. Gli dissi che i soldi me li aveva dati un amico. Mi chiese poi se ce l'avessi fatta ad arrivare in Europa. Per la prima volta in vita mia, ho mentito a mio padre. Non volevo che si sentisse in colpa per essersi dovuto operare. Gli dissi che ero in Europa, che ero al sicuro e che non si doveva preoccupare di niente". (2015, Kos, Grecia)

Il mare e la tempesta
"Dopo aver raccontato a mio padre di avercela fatta ad arrivare in Europa, desideravo sopra ogni altra cosa trasformare quella bugia in verità. Trovai uno scafista e gli raccontai la mia storia. Lui sembrò molto colpito, mi disse che voleva aiutarmi, che per 1000 euro mi avrebbe fatto arrivare su un'isola greca. "Io non sono come gli altri scafisti" mi disse "Io ho timore di Dio, ho dei bambini, non ti succederà niente di male se ti affidi a me". Mi fidai di quell'uomo. Una notte mi chiamò e mi disse di raggiungerlo al suo garage. Mi mise nel retro di un furgone con altre venti persone. Là in mezzo c'erano anche delle taniche di benzina, non riuscivamo a respirare. Alcuni cominciarono a gridare e vomitare. Lo scafista allora tirò fuori una pistola e la puntò verso di noi: "Se non fate silenzio vi ammazzo". Ci portò su una spiaggia, e, mentre lui preparava la barca, il suo compare ci teneva la pistola puntata. La barca era di plastica, lunga soltanto tre metri. Quando ci salimmo sopra, tutti ebbero una reazione di panico e cominciammo ad affondare. Tredici di noi erano troppo spaventati e tornarono indietro, ma lo scafista chiarì che, anche se avessimo cambiato idea, si sarebbe tenuto i soldi, quindi sette di noi decisero di continuare il viaggio. Lo scafista ci promise che ci avrebbe guidati fino all'isola, ma, dopo qualche centinaio di metri, saltò giù dalla barca e nuotò via, fino alla spiaggia. Ci disse di andare dritto davanti a noi. Le onde si alzavano sempre di più e l'acqua cominciava a invadere la barca. Era tutto buio, non vedevamo terra, né luci, ma solo mare. Poi, dopo trenta minuti, il motore si fermò. Lì pensai "Moriremo tutti". Ero così spaventato che smisi completamente di pensare. Le donne presenti cominciarono a piangere, perché nessuna sapeva nuotare. Allora dissi una bugia, raccontai che io sapevo nuotare anche con tre persone attaccate alla schiena. Cominciò anche a piovere. La barca si mise a girare su se stessa. Eravamo talmente spaventati che nessuno riusciva a parlare. Ma un uomo continuò a lavorare sul motore, e dopo qualche minuto questo ricominciò a funzionare. Non mi ricordo come abbiamo raggiunto la riva, ma ricordo che mi sono messo a baciare tutta la terra che trovavo. Adesso lo odio, il mare. Lo odio tanto. Non mi piace nuotare, non mi piace nemmeno guardarlo. Odio tutto quello che lo riguarda". (2015, Kos, Grecia)

La polizia greca e il poliziotto albanese
"L'isola su cui arrivammo si chiamava Samotracia. Eravamo tanto grati di esserci arrivati. Pensavamo di essere in salvo. Cominciammo a camminare per arrivare al posto di polizia e registrarci come rifugiati. Fermammo perfino un signore per la strada, per chiedergli di chiamare la polizia per noi. Io dissi agli altri di lasciar parlare sempre me, dato che sapevo bene l'inglese. Improvvisamente sono arrivate a tutta velocità due jeep della polizia greca, frenando di botto davanti a noi. I poliziotti si comportavano come se fossimo assassini, come se ci stessero cercando per portarci in galera. Ci puntarono le pistole, urlando "Mani in alto!" Io mi rivolsi a loro dicendo "Vi prego, stiamo fuggendo dalla guerra, non siamo criminali!" Loro dissero solo "Sta' zitto, Malaka*!" Non dimenticherò mai quella parola: "Malaka, Malaka, Malaka!" Ci chiamavano solo così, sempre così. Ci hanno gettati in prigione, così com'eravamo. Avevamo i vestiti bagnati e non riuscivamo a calmare i brividi. Non potevamo dormire. Quel freddo me lo sento ancora nelle ossa. Per tre giorni non ci hanno dato né da mangiare né da bere. Dissi alla polizia: "Non chiediamo da mangiare, ma vi prego, dateci un po' d'acqua". Pregai, implorai il comandante di lasciarci bere. Ma lui, di nuovo, rispose "Sta' zitto, Malaka!" Mi ricorderò la faccia di quell'uomo finché campo. Aveva una fessura tra i denti, ci sputacchiava addosso mentre parlava. Ha deciso scientemente di stare a guardare sette persone soffrire la sete per tre giorni, mentre quelle lo imploravano di dar loro un po' d'acqua. Siamo stati salvati quando finalmente ci hanno messi su una nave e ci hanno spediti in un campo sulla terraferma. Per dodici giorni siamo rimasti lì, prima di partire a piedi, diretti verso nord. Abbiamo camminato per tre settimane. In quel periodo ho mangiato soltanto erba e foglie, come una bestia. Bevevamo dai fiumi, anche se erano sporchi. Le gambe mi si sono gonfiate così tanto che ho dovuto proseguire senza scarpe. Raggiunto il confine, un poliziotto albanese ci ha trovati e ci ha chiesto se fossimo rifugiati. Abbiamo risposto di sì, e lui ci ha promesso che ci avrebbe aiutati. Ci ha suggerito di restare nascosti nel bosco fino alla notte dopo. Io non mi fidavo, ma ero comunque troppo stanco per fuggire. Arrivata la notte, ci ha caricati tutti nella sua macchina. Poi ci ha portati a casa sua e ci ha ospitati per una settimana, ci ha comprato vestiti nuovi, ci dava da mangiare tutte le sere. Mi ha detto: "Non ti devi vergognare. Anch'io sono un sopravvissuto alla guerra. Ora la mia famiglia siete voi, e questa casa è anche la vostra"." (2015, Kos, Grecia)
*parola greca spesso utilizzata come insulto, NdT

"Da oggi questa non ti serve più"
"Dopo un mese sono arrivato in Austria. Il primo giorno che ero lì, sono entrato in una panetteria e ho incontrato un signore di nome Fritz Hummel. Lui mi ha raccontato che era stato in Siria quarant'anni prima e che tutti lo avevano trattato bene, perciò mi ha dato da mangiare, da vestire, tutto. È stato come un padre per me. Mi ha portato al suo Rotary Club e mi ha presentato a tutti. Ha raccontato la mia storia e ha chiesto "Come possiamo aiutarlo?" Mi sono rivolto a una chiesa e loro mi hanno trovato un posto dove stare. A quel punto mi sono messo subito d'impegno a imparare la lingua. Mi esercitavo col tedesco 17 ore al giorno. Leggevo libri per bambini tutto il giorno, guardavo la televisione, cercavo di conversare con tutti gli austriaci che incontravo. Dopo sette mesi, è arrivato il momento di comparire davanti a un giudice perché decidesse il mio status. A quel punto parlavo tedesco talmente bene che ho chiesto al giudice di poter fare il colloquio in quella lingua. Lui non ci poteva credere. È rimasto talmente impressionato dal fatto che avevo già imparato bene il tedesco che mi ha trattenuto solo dieci minuti. Alla fine ha indicato la mia carta d'identità siriana e mi ha detto: "Muhammad, da oggi questa non ti serve più. Adesso sei austriaco anche tu!"" (2015, Kos, Grecia)