Il papa, i valdesi e il significato del perdono
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Il massimo organismo della Chiesa Evangelica Valdese (Unione delle chiese metodiste e valdesi), il Sinodo riunito in questi giorni a Torre Pellice (Torino), è stato chiamato a discutere ed eventualmente a rispondere alla richiesta di perdono pronunciata dal papa. Lo scorso 22 giugno, durante la storica visita di Francesco presso il Tempio valdese di Torino, il pontefice romano ha infatti detto: «Vi chiedo perdono per gli atteggiamenti e i comportamenti non cristiani, persino non umani, che nella storia abbiamo avuto con voi, in nome del Signore, perdonateci».
C'era chi si aspettava una richiesta di perdono — io me l'aspettavo —, ma pochi potevano pensare a una così bella richiesta, incondizionata e totale. L'incontro è andato in onda in diretta televisiva e forse gli assuefatti alle sceneggiature di certe fiction si sarebbero aspettati il pastore Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola Valdese, rispondere in lacrime: «Sì, fratello, ti perdono», e poi vai con l'orchestra d'archi che suona una lagna in minore.
Questa, però, non è una fiction, ma è vita reale. Il papa ha chiesto perdono per violenze, stermini, tentativi di "soluzione finale", che hanno ridotto i valdesi, unici protestanti autoctoni italiani sopravvissuti alla Controriforma, a una piccolissima minoranza, concentrata in tre valli — Pellice, Chisone e Germanasca — delle Alpi Cozie, le cosiddette Valli Valdesi. A Pinerolo c'era l'Ospizio dei Catecumeni, dove venivano portati i bambini figli di valdesi, rapiti per salvare la loro anima e crescere cattolici, per dirne una. I valdesi sono sopravvissuti grazie all'internazionale protestante (Svizzera, Gran Bretagna e Prussia) che ha voluto con ogni mezzo proteggere la Mater Reformationis, la più antica chiesa protestante del mondo, addirittura precedente di tre secoli la Riforma del XVI secolo.
Dal 1848 la situazione dei valdesi è mutata radicalmente: Carlo Alberto concesse le libertà civili — ovvero, anche se non sei cattolico, sei cittadino del Regno — e l'unità d'Italia fu costruita contro lo Stato Pontificio. I valdesi e gli altri protestanti sono usciti fuori dai "ghetti" e hanno cominciato a "mescolarsi" con gli altri cittadini, anche cattolici. Si sono costituite le prime famiglie interconfessionali. Nonostante il forte impegno ecumenico del protestantesimo storico — i valdesi furono tra le chiese fondatrici del Consiglio Ecumenico delle Chiese –World Council of Churches — difficile restava il rapporto con la Chiesa Cattolica Romana. Le parole di Francesco «comportamenti non cristiani, persino non umani» ben riassumono i nove secoli di relazioni cattolico-valdesi.
Il Sinodo, una sorta di parlamento delle chiese valdesi e metodiste con circa 180 membri, equamente distruibuiti tra pastori e laici, esamina l'operato degli organi amministrativi — tra cui la Tavola Valdese, il Board, presieduto dal moderatore — e dà le linee per l'anno ecclesiastico a venire. In quest'ottica il Sinodo ha discusso della visita del papa e della sua richiesta di perdono. La discussione è stata accesa e animata. Se per molti l'incontro di Torino è stato commovente, addirittura perfetto, per altri la visita del "nemico storico" è stata più che problematica. Parte della discussione si è incentrata sulla capacità del Sinodo di perdonare atti compiuti nei confronti di altre persone, morte da decenni, se non da secoli. Se, infatti, nell'ecclesiologia cattolica il papa può parlare, anzi parla a nome della Chiesa Cattolica, passata, presente e futura, nel protestantesimo vige il principio della responsabilità personale di ogni credente.
Non c'è dubbio: il papa ci ha spiazzato con la sua richiesta. E ha sfidato, fraternamente, le chiese valdesi e metodiste a riflettere sul loro rapporto con i propri antenati nella fede: sono solo padri e madri o sono anche fratelli e sorelle in comunione vivente con chi vive nel presente? Alcuni sinodali hanno infatti parlato di senso profondo della "comunione dei santi", espressione contenuta nel Credo. Alla fine del dibattito, il Sinodo ha approvato a larghissima maggioranza un atto che invitava il presidente dell'assemblea a inviare a Francesco questa lettera:
Caro fratello in Cristo Gesù,
il Sinodo della Chiesa Evangelica Valdese (Unione delle Chiese metodiste e valdesi) riceve con profondo rispetto, e non senza commozione, la richiesta di perdono da Lei rivolta, a nome della sua Chiesa, per quelli che Lei ha definito «gli atteggiamenti non cristiani, persino non umani» assunti in passato nei confronti delle nostre madri e dei nostri padri nella fede evangelica.
Desideriamo in primo luogo unirci a Lei e alla Chiesa cattolica romana nella gratitudine a Dio, la cui fedeltà è più grande di ogni nostro peccato e le cui «compassioni non sono esaurite, ma si rinnovano ogni mattina» (Lamentazioni 3:22s.). Il dialogo fraterno che oggi conduciamo è dono della misericordia di Dio, che molte volte ha perdonato, e ancora perdona, la sua e la nostra Chiesa, invitandole al pentimento, alla conversione e a novità di vita, permettendo loro così di assumere ogni giorno di nuovo il compito di servirlo.
Accogliamo le Sue parole come ripudio non solo dalle tante iniquità compiute ma anche del modo di vivere la dottrina che le ha ispirate. Nella Sua richiesta di perdono cogliamo inoltre la chiara volontà di iniziare con la nostra Chiesa una storia nuova, diversa da quella che sta alle nostre spalle in vista di quella “diversità riconciliata” che ci consenta una testimonianza comune al nostro comune Signore Gesù Cristo. Le nostre Chiese sono disposte a cominciare a scrivere insieme questa storia, nuova anche per noi.
La nostra comune fede in Cristo ci rende fratelli nel Suo Nome, e questa fraternità noi già la sperimentiamo e viviamo in tante occasioni con sorelle e fratelli cattolici: è un grande dono che ci viene fatto e che speriamo possa essere condiviso da un numero crescente di membri delle due Chiese. Questa nuova situazione non ci autorizza però a sostituirci a quanti hanno pagato col sangue o con altri patimenti la loro testimonianza alla fede evangelica e perdonare al posto loro. La grazia di Dio, però, «è sovrabbondata, là dove il peccato è abbondato» (Romani 5,20), e questo noi crediamo e confessiamo, certi che Dio vorrà attuare questa sua parola anche nella costruzione di nuove relazioni tra le nostre Chiese, ispirata alla parola evangelica: “Ecco, io faccio ogni cosa nuova” (Apocalisse 21:5).
La ricordiamo, caro fratello Francesco, nell'intercessione e Le chiediamo di pregare per noi, invocando su di Lei, sul Suo servizio e sulla Sua chiesa, la benedizione del nostro Dio.
Leggendo questa lettera alcuni si sono domandati: ok, ma alla fine lo hanno perdonato o no? Dei giornali, quali ad esempio La Stampa, hanno interpretato la lettera come un "no", scatenando delle reazioni stizzite su blog e social network. Addirittura un vescovo avrebbe detto — condizionale d'obbligo — che il Sinodo ha dato una risposta poco evangelica. La risposta invece è stato un sì, aperto e commosso. Forse il linguaggio "sinodale" non è il massimo, forse le piccole minoranze corrono il rischio di sviluppare un linguaggio criptico e autoreferenziale. E su questo dovrebbero riflettere approfonditamente delle chiese cristiane che, per principio, dovrebbero essere aperte al mondo, ma a questo mondo non riescono a parlare chiaramente.
Detto ciò, il corto circuito forse nasce dalla difficoltà di parlare di perdono oggi nel nostro paese. Siamo abituati a vedere in televisione richieste di perdono indegne. Cronisti che sbattono il microfono in faccia al figlio o alla madre della vittima di turno, dicendo: «Ma lei perdona?», sviliscono il senso del perdono, lo rendono un obbligo mediatico per chi soffre, che deve aggiungere al dolore anche il fardello del dover perdonare e di doverlo dire a un microfono in tv.
Alla luce di questo, la risposta del Sinodo può apparire fredda, in particolare nella frase «Questa nuova situazione non ci autorizza però a sostituirci a quanti hanno pagato col sangue o con altri patimenti la loro testimonianza alla fede evangelica e perdonare al posto loro», frase che tiene democraticamente conto del dibattito sinodale, nel tentativo di dare una risposta di sintesi. Il Sinodo ha detto, invece, chiaramente di accogliere la richiesta, con un plus, parlando di «misericordia di Dio, che molte volte ha perdonato, e ancora perdona, la sua e la nostra Chiesa, invitandole al pentimento, alla conversione e a novità di vita» (corsivo mio).
Per una chiesa di tradizione calvinista, il perdono è una richiesta che si fa anzi tutto a Dio, a Colui che porta i nostri fardelli, siano essi il peccato per il quale si chiede perdono, siano essi la difficoltà, a volte la violenza nei confronti di se stessi, di poter dire: «Ti perdono». Il perdono non è solo una parola, ma è un percorso, un cammino di conversione, che fa fruttare il dono della grazia in una vita rinnovata. Il pastore Paolo Ricca ha dichiarato: «È l'inizio di una vita nuova».
Si potrebbe dire che la richiesta di perdono del papa e la risposta del Sinodo siano un fatto privato, una questione tra "preti", tra chiese. Eppure, non sarebbe una cattiva idea approfondire maggiormente, anche al di fuori di questo ristretto contesto, il senso del perdono, della riconciliazione, troppo spesso ridotto a un frase estorta da un microfono impertinente.