Legare i compensi dei dirigenti pubblici all'andamento del PIL: ecco la proposta di riforma della Pubblica Amministrazione avanzata dal governo Renzi. Una misura che di certo piacerà ai teorici del "pagherete caro, pagherete tutto", ma che, in realtà, ha poca o nessuna utilità. Forse è il caso di rifletterci un po' meglio prima di andare avanti?

Compensi

Migliorare la produttività del personale e l'efficienza della macchina pubblica è uno degli obiettivi cardine della riforma della pubblica amministrazione targata Renzi. Per conseguirlo, il governo ha intenzione di legare le retribuzioni dei dirigenti pubblici all'andamento del PIL. È quanto si apprende dalle dichiarazioni della ministra Madia e del sottosegretario Del Rio, i quali, qualche giorno fa, hanno confermato che stanno effettivamente studiando questa misura.

L'obiettivo, ovviamente, è in tutto e per tutto condivisibile. Lo strumento, invece, suscita molte perplessità. Qualcuno (es. vedi un recente intervento comparso su la lavoce.info) ha già osservato che il meccanismo premiale scelto dal governo non avrà nessuna efficacia. I meccanismi premiali funzionano quando esiste una correlazione chiara e precisa tra il risultato e l'operato del personale che è retribuito in funzione di quello stesso risultato. E questa condizione non è certamente soddisfatta nel caso delle retribuzioni dei dirigenti pubblici agganciate al PIL.

Nelle imprese private, forme di premialità che legano le retribuzioni del top management, dei dirigenti, e talvolta quelle del personale, ai risultati aziendali sono molto diffuse. Ma i dirigenti pubblici non sono il top management di una presunta “azienda Italia”. Le performance dell'economia italiana non sono legate all'operato dei dirigenti pubblici. E l'andamento congiunturale del PIL è completamente sganciato dalle decisioni assunte da un qualsiasi ufficio pubblico o dalla sua produttività. In poche parole, il PIL non è un output della pubblica amministrazione, ma del settore privato.

Legare le retribuzioni dei dirigenti pubblici a indicatori che esprimono realmente le performance della pubblica amministrazione potrebbe avrebbe invece una qualche efficacia. Ma valutare le performance della pubblica amministrazione è notoriamente problematico sotto il profilo teorico e metodologico.

Nell'impresa privata gli indicatori di risultato spesso sono direttamente espressi in termini di utili aziendali o quotazioni di borsa quando si tratta di valutare il top management, oppure in termini di ricavi e produttività fisica quando si tratta delle retribuzioni di dirigenti e quadri intermedi. Insomma, nell'impresa privata i risultati aziendali sono misurabili senza eccessive difficoltà. Nella pubblica amministrazione il processo non è altrettanto semplice. Bypassare questa complessità rimpiazzando tutto con un indicatore sintetico come il PIL è sicuramente una trovata di grande impatto mediatico e in termini di comunicazione politica, ma nella sostanza è una scorciatoia completamente fuorviante.

Se tutto questo non bastasse, io aggiungerei che, in linea generale, legare remunerazioni e premi dei dirigenti e del top management ai risultati aziendali non è sempre e necessariamente una cosa positiva, nemmeno nelle aziende private. Non sono rari i casi in cui le regole vengono concepite e gli indicatori di risultato manipolati e gonfiati esclusivamente in funzione dei guadagni personali di alcuni manager. Certi meccanismi possiedono pro e contro. Anche nel settore privato portano con sé vizi e virtù. Inutile negare che il settore pubblico tende sempre a fare più facilmente propri i vizi che le virtù del mercato. E questo, secondo me, è un altro buon motivo per guardare con sospetto la proposta di premiare la dirigenza pubblica in ragione della crescita economica.

Per altri versi, un meccanismo premiale che lega le retribuzioni pubbliche al PIL è una misura di carattere palesemente pro-ciclico. È innocua finché rimane confinata alle sole retribuzioni della dirigenza pubblica. Ma qualora il meccanismo, per un motivo o per l'altro, dovesse essere esteso anche agli altri livelli del personale pubblico, esso imprimerebbe una direzione pro-ciclica a tutta la politica di bilancio. E la politica di bilancio pro-ciclica e la salute della finanza pubblica, si sa, non vanno propriamente d'accordo.

L'esperienza storica italiana insegna molto a riguardo. Basta ricordare quante volte, in passato, il maggior gettito fiscale prodotto dal miglioramento della congiuntura è stato utilizzato come “tesoretto” da redistribuire a destra e a manca invece che per consolidare i conti pubblici. Un legame tra le retribuzioni pubbliche e il PIL stabilito per legge, quindi, farebbe diventare istituzionale questa brutta abitudine.

Nel peggiore dei casi, il legame tra le retribuzioni dei dirigenti pubblici e il PIL potrebbe rivelarsi un banale escamotage. Un trucco per garantire ai dirigenti pubblici che, un domani, non appena torneranno le “vacche grasse”, essi riavranno indietro, con tanto di interessi, la parte di retribuzione a cui, oggi, in tempo di “vacche magre”, la politica chiede loro di rinunciare.