Centro politico: spazio da occupare o chimera?
Istituzioni ed economia
Dare vita a una formazione politica che occupi lo spazio del centro. Ci hanno provato e ci stanno provando in tanti. Ricordo, fra i tanti, Luca Cordero di Montezemolo con Italia Futura, Corrado Passera con Italia Unica, Oscar Giannino con Fermare il Declino, Marco Follini con Base Popolare, Mario Monti con Scelta Civica, Marco Bentivogli con Base Italia, Matteo Renzi con Italia Viva, Carlo Calenda con Azione, Emma Bonino con Più Europa, Alessandro De Nicola con Libdem. Oggi si aggiungono Gianfranco Rotondi con CDR, Luigi Marattin e Enrico Costa che chiamano a raccolta gli irriducibili del fallito terzo polo ed anche Michele Boldrin che annuncia, fra il serio e il faceto, la costituzione di un nuovo partito insieme a Forchielli.
Nonostante la qualità di alcuni dei protagonisti, ogni tentativo è fino ad oggi fallito. Come mai? Normalmente se ne fa una questione di leadership. Non è così. Se c’è una cosa che ci insegnano le recenti consultazioni europee, riguarda proprio questo: non vince il leader più forte, vince l’identità più convincente. I Cinque Stelle, infatti, con un leader forte come Giuseppe Conte, sprofondano sotto la soglia del 10%, mentre Forza Italia, priva del suo fondatore e leader, tiene, anzi cresce. Certo, un leader forte può aggiungere valore, ma il successo deriva dalla visione, dal purpose, dal posizionamento.
I Cinque Stelle avevano un’identità chiara, fondata sull’antipolitica, e un posizionamento coerente: nessuna alleanza. Poi, con il contratto di governo con la Lega prima e con l’adesione al campo dei progressisti poi, l’identità è andata sfumando e il posizionamento è stato tradito. Così, leader forte o non forte, l’elettorato li punisce. E Forza Italia? In tanti lo definirono un partito finto, di plastica, tenuto in vita solo dalla presenza del suo leader. In tanti si dichiararono certi che senza Berlusconi sarebbe scomparso in quattro e quattr’otto, ma non è così. Non è così perché nel tempo ha mantenuto, sia pure con diversi colpi di tosse, la sua identità originaria.
Nasce come partito di centro, saldamente atlantista, convintamente europeista, con la missione di far uscire l’Italia dalla fase storica del “consociativismo catto-comunista”, attraverso una “rivoluzione liberale” promossa dall’inedita alleanza fra il centro e la destra. Poi, per tante ragioni, la rivoluzione liberale non si è vista e la seconda repubblica è stata annunciata, ma mai compiutamente realizzata. Eppure la sua ispirazione originaria resta tutt’ora attuale e il suo posizionamento coerente. Per questo, leader forte o non forte, l’elettorato la premia.
D’altronde, anche il penoso fallimento del terzo polo non ha avuto luogo a causa delle bizze di Renzi e Calenda come sarebbe secondo la vulgata dominante, ma per la sua identità equivoca: l’emergere dei personalismi non è la causa del fallimento, è l’effetto di un progetto a dir poco opaco. Equidistanti da destra e sinistra, ma “mai con la Meloni”; sarcastici sulle scelte del PD, ma fino al giorno precedente alla scelta di Letta di escludere Italia Viva, Renzi si rivolgeva ai banchi dem con l’espressione “amici e compagni del PD”, mentre Calenda negoziava con lo stesso PD il numero di parlamentari. Si potrebbe continuare con l’elencazione di altre evidenze che dimostrano come i sedicenti centristi nostrani siano afflitti dal complesso della sinistra, ma non serve, gli stessi leader non hanno mai fatto mistero del loro intento: Renzi ha sempre detto di rappresentare la “sinistra riformista”, Calenda di voler dare vita a un fronte repubblicano a difesa della prima parte della costituzione, tutti ciò all’insegna del più lampante continuismo.
La partita del centro si può dunque giocare con qualche chance di successo, solo se si prende coscienza di due fattori:
1. il centro alleato con la sinistra, non è mai stato centro, ma esso stesso sinistra. Sinistra riformista, sinistra moderata, sinistra cristiano- sociale, sinistra scout, ma sempre sinistra;
2. il centro non culturalmente connesso con la sinistra, si è sempre scontrato con uno spazio già occupato da Forza Italia.
Anche oggi, i terzopolisti che scegliessero l’alleanza col campo cosiddetto progressista, giocherebbero il ruolo di “sinistra riformista”, non di “centro liberale”. I terzopolisti che scegliessero una via diversa, dovrebbero giocarsi con Forza Italia l’elettorato di centro. Ne vale la pena? Perché questa volta dovrebbe funzionare? Per la scomparsa di Silvio Berlusconi? La sua assenza non condanna Forza Italia, anzi, al contrario, libera energie, tant’è vero che, a quanto è dato capire, la partita per riallineare Forza Italia con la sua ispirazione originaria, è già iniziata.
C’è chi vuole farne un partito più coraggioso e innovatore, alleato con la destra, ma non subordinato ad essa, autenticamente liberale. I centristi del fu terzo polo, dovrebbero interrogarsi: provare a generare un partito di centro concorrente di Forza Italia o partecipare al rinnovamento della stessa Forza Italia? Sono convinto che questa seconda opzione sarebbe più realistica e soprattutto più utile al sistema democratico italiano. Certo, bisognerebbe superare un po’ di tabù e scrollarsi di dosso un po’ di residui continuisti; tabù e residui di cui, a mio parere, non sono esenti neppure Costa e Marattin.