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I carnefici di Hamas, fuori da Gaza, a Beirut, incontrano in queste ore Hezbollah e Jihad Islamica per programmare le prossime azioni del Terrore Islamista in tutto il mondo.

Il futuro dei palestinesi non c'entra nulla con queste alleanze, non interessa davvero a nessuna delle sigle coinvolte nella strage di bambini, di giovani, di donne e di anziani massacrati nei kibbutz.

L'Iran sta tentando di gestire tutto questo caos per non perdere il proprio ruolo nel mondo islamico e per destabilizzare gli Accordi di Abramo (tra Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein, Marocco, Sudan).

In questo quadro, con i palestinesi di Gaza sostanzialmente sotto la dittatura armata di Hamas e l'eterodirezione estera e quelli della Cisgiordania sotto l'autorità più corrotta e inefficace della storia, quella di Abu Mazen e di Fatah, che senso ha discutere ora della dottrina "due popoli, due stati"?

Se mai potesse sorgere un ipotetico stato palestinese nelle condizioni date - cioè senza democrazia, libertà e stato di diritto - questo obbrobrio alle porte di Gerusalemme sarebbe un "monstrum" estremista nelle mani dei terroristi, una sorta di "mix potenziato" tra la Colombia delle Farc e il Libano frastagliato e dilaniato dai diversi gruppi violenti di matrice religiosa.
Non è questa la via, non può esserlo.

La prospettiva più giusta dovrebbe essere quella di estendere progressivamente a tutti i palestinesi i diritti di libertà, tolleranza e giustizia, di cui godono già oggi (tra mille comprensibili contraddizioni) i cittadini arabi (musulmani, cristiani e drusi) di Israele, che hanno i loro partiti politici rappresentati nella Knesset, il Parlamento ebraico.

L'ethos di Israele, che è poi l'ethos occidentale, deve diventare l'ethos di tutto il Medio Oriente: tutela della libertà religiosa, laicità dello Stato, indipendenza della magistratura, economia libera, eguali diritti ed opportunità per le donne, riconoscimento delle minoranze.

La cultura dell'identitarismo etnico-religioso non è la strada della liberazione palestinese dalla violenza e dall' odio; la cultura omicida e ottusa di Hamas sta annichilendo un popolo, ha ridotto la sua gente a "scudi umani", strumenti di una guerra ideologica pianificata altrove.

Per tutto questo, invece di ripetere ossessivamente il mantra inutile "due popoli, due Stati", si dovrebbe lottare per l'ingresso di Israele nell'Unione europea, per aiutare lo stato ebraico ad aprirsi sempre di più alla convivenza pacifica con le popolazioni arabe, superando ogni tentazione segregazionista, accogliendo totalmente il pluralismo culturale, implementando il ruolo sociale di pacificazione potenzialmente esercitabile dagli arabi-israeliani, finalmente cittadini uguali a tutti gli altri.

L'unica democrazia del Medio Oriente ha questo significato storico, può proiettare il senso di questa prospettiva in tutta l'area.
È necessario però – e per questo il ruolo dell'Europa è fondamentale – lavorare insieme per estirpare il cancro di Hamas da Gaza, per superare l'immobilismo dei padroni della Cisgiordania.

Israele non è il problema! Israele è l'unica reale possibilità per i palestinesi di emanciparsi dai loro carnefici, dagli estremisti tagliagole della Jihad.

Di questo ne sono perfettamente consapevoli i giovani iraniani, le coraggiose donne senza velo e senza paura che da anni sacrificano le proprie vite contro lo stato distopico degli Ayatollah e che, in queste ore, in Patria e nell'esilio estero, protestano contro la violenza bruta di Hamas, mostrandosi solidali con Israele.

Il contesto storico, quindi, è più complesso rispetto alla dicotomia sterile rappresentata dai media; è possibile distinguere, è doveroso lavorare per dare forza agli arabi e ai persiani oppressi dalla bestemmia giuridica-teologica-politica che chiamiamo islamismo. Questa forza, questo sviluppo, questa prospettiva di liberazione ha molto a che fare con Israele, con la sua resistenza, con i valori universali che ancora oggi incarna.