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Da ormai alcuni mesi Matteo Salvini va dicendo in lungo e in largo che intende fare la “rivoluzione liberale”, ma che c’entra la rivoluzione liberale con Salvini?

Innanzitutto occorre soffermarsi sul termine “rivoluzione” che cozza con le dichiarazioni e le azioni politiche quotidiane del nostro padano nazionale. Infatti ciò che propugna non solo non è rivoluzionario, ma neanche identificabile con un forte conservatorismo: è palesemente reazionario.

Il termine rivoluzione ha poi anche una sua accezione romantica che rimanda ai moti rivoluzionari animati nel corso degli ultimi secoli contro i tiranni; lui difende Putin e Lukashenko, lui dice che in Corea del Nord c’è “un senso di comunità splendido”, perché “i bambini giocano in strada e non con i videogiochi”, perché “lì lo Stato dà tutto: scuola, casa, lavoro” (liberalissimo!); lui confonde il nobile principio della rivoluzione come lotta di libertà ed emancipazione con quattro sgangherati che impugnano un badile e cospargono di letame i centri urbani o con una manica di beoti che impugnano un forcone e si vestono di arancione.

No, possiamo pacificamente affermare che la rivoluzione non fa per Salvini; ancor meno c’azzecca con il liberalismo, dottrina politico-filosofica fondata su principi e valori come la libertà, la tolleranza, il rispetto, l’apertura. Popper (che forse il nostro confonderebbe con una droga), uno dei più grandi pensatori liberali, ha scritto la sua più importante opera in difesa della società aperta, intitolandola proprio “La società aperta e i suoi nemici”, e in quell’opera diventa difficile trovare per Salvini e i suoi sodali un ruolo da protagonisti, se non quello dei nemici.

Ma appurato che Matteo Salvini non è affatto liberale perché rappresenta l’antitesi dei principi cardine del liberalismo, vediamo se può almeno appartenere a una delle “sottocategorie” del pensiero liberale.

È forse liberista? Quota 100 da lui voluta e il reddito di cittadinanza da lui votato basterebbero da soli per definirlo statalista e assistenzialista, ma possiamo citare anche tutte le volte in cui ha invocato la nazionalizzazione di qualche impresa o ha spinto per l’ennesimo salvataggio di quel pozzo senza fondo chiamato Alitalia.

È dunque libertario? Forse ancor meno che liberista. Il rosario brandito come una clava, il feticcio delle uniformi, il sostegno a regimi liberticidi, le crociate contro la legalizzazione delle droghe leggere, contro i diritti le coppie omosessuali, contro il riconoscimento dell’identità di genere ci dicono che no, non è neanche libertario. A meno che non lo si ritenga libertario perché vuol di fatto garantire la libertà di discriminare.
Probabilmente non è neanche libertino, nonostante i suoi numerosi flirt e le sue numerose famiglie.

Un ultimo appunto: La Rivoluzione Liberale è anche il titolo del saggio e della rivista fondata e diretta da Piero Gobetti, intellettuale liberale perseguitato e indotto all’esilio dal regime fascista di Mussolini, quello dei “pieni poteri” tanto cari al leader leghista.

Sarebbe dunque il caso che Matteo Salvini continuasse a parlare di sovranismo, di revisionismo, di trumpismo e puntinismo (due facce della stessa medaglia), di tutte quelle cose che conosce bene e che scaldano i cuori dei suoi sempre meno seguaci. Continui pure a indossare felpe e divise paramilitari e veda se, rivoluzionando - stavolta sì - il suo bagaglio politico, ideologico e lessicale, possa riuscire a ritagliarsi una spazio a destra tra i conservatori (Meloni permettendo), ma lasci perdere il liberalismo e tutto ciò che concerne il termine “liberale”, perché non è cosa per lui.